domenica 21 marzo 2010

Masai

Ho trascorso l'intera giornata con un Masai. Alto, vecchio, che parlava un inglese incerto. Sul suo taxi bianco mi ha guidata ovunque, nei meandri di Nairobi, nei suoi sobborghi, indicandomi tutti gli altri Masai che vedeva per strada. "Come fa a sapere che e' quello e' un Masai?", chiedo io. "Lo capisco da come e' vestito". "E questa volta?", incalzo, quando indica dei normalissimi ragazzini che giocano a calcio. "Lo capisco dalla lingua che parlano".

Il mio Masai e' cresciuto ad Amboseli, alle falde del Kilimangiaro, e si e' trasferito in citta' solo durante l'adolescenza. Si chiama Laitere, che significa "colui che scende e poi risale". Era il nomignolo del suo prozio, un fiero capofamiglia che dopo essere caduto in disgrazia e' riuscito, con le sue sole forze, a risollevarsi e diventare ricco. "Aveva moltissimo bestiame", mi spiega Laitere, orgoglioso.

Il primo posto dove sono voluta andare, stamattina, prima del centro citta', prima del parco di Nairobi, prima di tutto, e' stato sulle colline del Ngong. Quele colline descritte cosi' meravigliosamente da Karen Blixen in out of Africa, dove e' stato sepolto il suo amante Dannys Fynch-Hutton. Laitere guidava sereno: quello e' territorio quasi sacro, per il popolo Masai, ed lui era contento di andarci. Nella loro lingua, Ngong significa "nocche", e difatti il profilo delle colline pare l'orlo di un pugno.

Una volta arrivati in cima, vedevamo tutto l'altopiano. E al bordo dell'orizzonte, Laitere mi indicava i grattacieli di Nairobi.

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