lunedì 28 febbraio 2011

Distributore di benzina

Sulla strada per Rutshuru la benzina si compra in bottiglia. A dei banchetti di legno fatti cosi'. Con o senza capretta. 

venerdì 25 febbraio 2011

Riunione

Non so di cosa parlino i miei amici di Milano durante le loro riunioni di lavoro. Ma giusto per fare un esempio, oggi noi abbiamo parlato di questo.

D’ora in poi le macchine che vanno sul terreno si dovranno muovere solo in convoglio. Prima adottavamo questa misura solo nei tratti di strada piu’ rischiosi. Ora e' stato deciso che si dovranno aumentare le precauzioni. Muoversi in due ha soprattutto un effetto deterrente. Un bandito da solo normalmente non se la sente di fermare due macchine e dover gestire 8-9 ostaggi al tempo stesso.

D’ora in poi ci saranno radio-check regolari per tutti coloro che sono provvisti di radio. Il radio-check e’ un controllo quotidiano, sempre alla stessa ora. Ogni espatriato avra’ una radio (quindi anche io!).

D’ora in poi non si prenderanno piu’ autisti in affitto. Gli autisti saranno solo membri del nostro staff. Anche perche’ se un autista temporaneo si trovasse per caso senza lavoro e si unisse a un gruppo armato, saprebbe tutte le nostre parole codice per definire luoghi e persone. Gli basterebbe sintonizzarsi sulla buona frequenza per programmare attacchi contro i nostri veicoli.

Traffic

“Devo andare un pezzo contromano, altrimenti ci tocca fare il giro della citta’”, dice l’autista nel suo francese zoppicante. Io annuisco distrattamente. Succede spesso che si debbano fare picole infrazioni, da queste parti, per scampare al traffico strangolatore di Kinshasa. E certo non immagino che il mio vago assenso possa venir interpretato come licenza di uccidere. In un istante surreale, un poliziotto si materializza davanti alla macchina. Batte violentemente le mani sul cofano gridando "NO" con occhi sgranati. Prima che io possa decifrare l’apparizione l’autista sterza di colpo, schiacchiandomi contro il finestrino. E in un attimo siamo lontani, con il pugno dell’accelerazione centrato dritto nello stomaco.

“Tu sei un pazzo!”, esplodo io non appena riesco ad emettere suono. « Ma ti rendi conto di quello che hai appena fatto ? » Non so neanche io se mi sto riferendo al fatto che ha quasi ucciso una persona, che sta scappando dalla polizia, o che sta guidando a tutta birra in una strada contromano. “Non ti preoccupare, e’ a piedi, non ci puo’ piu’ beccare”, risponde lui come se niente fosse. Allucinata, guardo di fronte a me. Sono su una delle arterie principali della citta’, lunga almeno cinque chilometri. A senso unico e senza deviazioni. Non c’e’ altra opzione che percorrerla tutta in senso inverso.

Arranchiamo al lato della strada con una ruota sull’asfalto e l’altra sul terriccio coperto di rifiuti che sostitisce il concetto di marciapiede. Le altre macchine vengono verso di noi, schivandoci una ad una. Strategicamente decido di rimandare la sfuriata a piu’ tardi : meglio canalizzare tutta la mia energia in preghiere per restare in vita. Dopo poco il traffico si infittisce, trasformando il pericolo di essere investititi in pericolo di essere picchiati da qualche automobilista inferocito. Grida e insulti piovono sulla nostra machina da ogni dove. Risalire la corrente e’ sempre piu’ faticoso. Io me ne sto chiusa nel mio silenzio teso, pensando solo che grazie al cielo si tratta di una macchina in affitto, senza il simbolo della mia organizzazione appicciato al cofano. In un paese in cui l’immagine e’ direttamente collegata all’incolumita’, non si vuole infangare il nome della ONG per cui si lavora.

Dopo una ventina di dolorosi minuti riusciamo finalmente a uscire da quell’inferno, immettendoci sull’amato, ariosissimo Boulevard. Tiro un respiro di sollievo all’idea di essere di nuovo nella legalita’. E proprio mentre faccio per strangolare l’autista, lui con cortesia impecabile si arresta di fronte alle strisce pedonali per lasciare che una signora attraversi la strada.

domenica 20 febbraio 2011

Carabinieri congolesi!

La regola di vita del poliziotto e' una e ben chiara. Chiedere soldi, sempre e comunque. O almeno provarci, dato che la divisa dovrebbe offrire qualche sorta di magico potere convincente. La regola e' applicata diligentemente, ciecamente. Il poliziotto ti ferma, trova qualcosa che non va, chiede soldi.
A volte pero' le cose prendono una piega inaspettata. L'altro giorno un mio amico congolese e' stato fermato in macchina dalla polizia di Kinshasa. Era appena uscito da un bar. Il poliziotto ha visto che aveva bevuto e ha colto l'occasione al volo. "Monsieur, bisogna fare il controllo dell'alcool". "Va bene", risponde il mio amico con aria sommessa. "Per farlo pero' devi pagare cinquecento franchi", dice il poliziotto con il solito sogghigno. Il mio amico e' confuso. "Non ho soldi...", mormora, non credendo alle proprie orecchie. "Davvero?" "Davvero". I due si guardano, c'e' un secondo di silenzio. A quel punto, anche il poliziotto pare un po' perso nel ragionamento. C'e' qualcosa che non va in questa conversazione. Ma oramai e' troppo tardi. "In tal caso... vai pure", gli dice mordendosi le labbra. E il mio amico si volatilizza all'istante, senza lasciargli il tempo di raccapezzarsi.

mercoledì 16 febbraio 2011

Cinema Majestic

In tutto il Congo non esiste un singolo cinema. In un paese grande quanto l'Europa occidentale, nella terza capitale piu' popolosa d'Africa, non c'e' uno straccio di sala in cui godersi la proiezione di un film. A pensarci bene, la cosa non sorprende. Quale compagnia cinematografica si darebbe la pena di aprire una sala in un paese senza legge? Quale produttore invierebbe le pellicole fino all'infernale Kinshasa, dove si volatilizzerebbero appena scaricate dall'aereo?  Eppure, visto che in Congo tutto e' possibile, io al cinema ci sono andata.

Ora, si tratta di rivedere un po' le definizioni. E' una sala, questo si'. Al secondo piano di un edificio senza insegne, con gradini scalcinati e topolini scorrazzanti. Dopo una teoria di porte che si aprono su stanze vuote e polverose, finche' non si azzecca per caso quella giusta. Un'anticamera tappezata di locandine, un mini-bar stipato di birre congolesi. Perfino una macchinetta per fare i popcorn nell'angolo. Dieci dollari all'ingresso ed eccoci dentro, nella sala fitta di poltrone allineate. Poltrone congolesi, legnose e scomode, evidentemente comprate in un mercatino di mobili all'aperto.

Un proiettore, un fascio di luce, una pila di CD pirata di film scaricati da e-mule. Una gigante schermata Windows Media Player luccica sulla parete di fondo. Un gruppuscolo di espatriati svincola dentro con aria da clandestini: hanno tutti letto il programma sul sito internet del proprietario. Con qulache minuto di fisiologico ritardo, le luci si spengono. Un ragazzo indiano regola le casse gracchianti sul giusto volume. Il cursore schiaccia PLAY, il film si spalma a tutto schermo. La storia comincia, benvenuti al Majestic.

sabato 12 febbraio 2011

L'esercito

In Congo e' illegale fotografare i militari. Questa e' l'unica foto che sono riuscita a fare, di nascosto, da dentro la macchina. I soldati sono in giro ovunque, tutti con quest'aria un po' trasandata e il fucile a penzoloni. Chiacchierano con la gente al bordo della strada, passeggiano sgranocchiando un frutto, se ne stanno stipati in cima ai camion con cento altri passeggeri, come se niente fosse.

Tutti sanno che i militari dell'esercito regolare (FARDC) sono praticamente fuori controllo. Sono tanti, male equipaggiati e senza strutture di comando chiare. E infatti saccheggiano, rubano e stuprano a destra e a manca nella totale impunità. Un tempo bisognava almeno seguire un addestramento per diventare un soldato. Oggi al primo ragazzino che vuole far parte dell'esercito bastano un paio di settimane per ricevere un fucile e un uniforme.

Senza contare che nell'FARDC entrano cani e porci. Ogni volta che lo Stato raggiunge un accordo con un gruppo armato, i ribelli vengono assorbiti nelle strutture dell'esercito, da un giorno all'altro. Capirai che affidabilità. E capirai che l'integrazione, anche. I gruppi ribelli hanno i loro gradi di fantasia, e vogliono essere integrati secondo la loro logica. "Io sono Cobra Tango e sono un colonnello". E guai a dirgli di no. Se non lo riconosci come tale, questo torna a darsi alla macchia. Ovviamente, tutti i soldati semplici sono magicamente scomparsi.

Esiste pero' anche un altro gruppo di soldati, scelti, ben pagati e soprattutto fedelissimi al presidente. Sono la guardia presidenziale, distinguibile grazie al baschetto rosso dell'uniforme. Sono loro che controllano gli snodi strategici. Frontiere, aeroporti, porti. Sono loro che - guarda caso - vengono piazzati proprio di fianco alle miniere. La guardia presidenziale e' un esercito serio, addestrato. Che si inquadra in ranghi sensati, mica come gli altri. Nessuno ha mai visto in giro una carica piu' alta di un maggiore.

Tra l'altro, questa controversia sui gradi è riemersa in modo alquanto sfizioso quando c'e' stata una riforma delle uniformi. Dai tempi di Kabila padre (che ha spodestato Mobutu con l'appoggio dei rwandesi), le divise dell'esercito congolese erano tinta unita verdi. Curiosamente identiche a quelle rwandesi. All'improvviso, lo scorso giugno e' stato deciso di differenziarle. Dettaglio interessantissimo, a parer mio, e pieno di implicazioni geopolitiche di cui ancora mi sfugge il significato.

In ogni caso, una nuova divisa e' stata inviata a ogni soldato, questa volta con numero di matricola e gradi come dio comanda. Quando l'hanno vista, i soldati ex-CNDP  sono inorriditi. Hanno voluto mantenere le uniformi vecchie con i gradi che piacevano a loro. A quel punto era diventato un gioco da ragazzi capire chi era fedele al governo e chi no, bastava guardare la mise. Ma per evitare di giocare col fuoco, il governo ha deciso di dargliela vinta. Gli hanno mandato nuove uniformi con i gradi che volevano loro. "Colonnelli, maggiori, generali. Tutto quello che volete, basta che vi togliate quella divisa da rwandesi".

Jibu


Questo piccolo si chiama Jibu. "Risposta", in Swahili.

E' nato da due giorni in una delle piccole cliniche rurali che sosteniamo con il nostro programma medico. Si chiama così perché è nato in risposta alle preghiere di sua madre, che ha atteso un bambino per ben sei anni. In Congo, se una donna non mette al mondo un figlio durante il primo anno di matrimonio rischia di essere ripudiata e messa a margine della società. In un mondo in cui il numero dei figli riflette la potenza di un uomo, una donna sterile è peggio di una malattia. Lei però è stata fortunata. Il marito l'ha tenuta con sé, risparmiandole il disonore. Probabilmente condividendo con lei la vergogna. E infine, dopo sei lunghi anni, é arrivata la risposta.

domenica 6 febbraio 2011

La comida

A Goma non si può andare a cena fuori se si ha fame. Sarebbe una tortura. Con un tempo di attesa medio di un'ora a prescindere ciò che si ordina (che sia un caffè, una pizza o uno stufato), è tassativo muoversi ben prima che si attivino i sensori stomaco-mente. Si agisce di fame preventiva, insomma. "Tra un'ora avrò fame".

Certo, alcuni ristoranti sono meglio di altri. Con una vittoria netta per il localino in stile europeo (mezz'ora di attesa media, ma con una scelta di soli cinque piatti), i pochi altri ristoranti di Goma si piazzano in posizioni discendenti fino ad arrivare all'indiano, con une tempo di servizio medio di un paio d'ore incluso almeno un errore nel servizio. Ma dopo due ore di attesa uno proprio non se la sente di rispedire il piatto indietro, quindi ce lo si fa andar bene.

Col tempo, noi circensi dell'umanitario abbiamo sviluppato varie strategie per gestire questi tempi di attesa faraonici. Il primo, ovviamente, è quello di farci l'abitudine. Si esce con gli amici per fare una lunga chiacchierata, di cui il cibo è solo una tappa passeggera. Si ordina all'inizio della serata, ce ne si dimentica, e prima o poi si verrà colti di sorpresa dall'arrivo della pietanza. Voilà. I più sgamati hanno provato la tecnica della corruzione al cameriere: "Un dollaro in più se me lo porti entro quindici minuti". Oppure, se non si vuole rinunciare alla propria integrità, si sfodera il: "Cosa c'è di già pronto?", sperando di cavarsela alle spalle degli ordini dei clienti precedenti.

Infine c'è chi questa snervante attesa la rifiuta per principio. In tal caso, la soluzione è una sola. Uno va tranquillamente al ristorante e ordina il piatto desiderato. Poi esce. Va a fare la spesa, passa da casa a farsi una doccia, fa una telefonata a casa. E a quel punto, ma solo a quel punto, ritorna al ristorante. Giusto in tempo per essere servito.

martedì 1 febbraio 2011

Me, myself and I

Poco tempo fa sono stata contattta dalla gentile blogger di Anime Nomadi, che raccoglie testimonianze di donne italiane all'estero. A chi interessasse leggere il mio egocentrico, autoreferenziale bla bla bla (e altre interessanti interviste a ragazze in giro per il mondo), basta seguire questo link.

http://animenomadi-storiediespatriate.blogspot.com/2011/02/viviana-dal-congo.html

Grazie ad Anime Nomadi per l'opportunita'!