lunedì 31 gennaio 2011

Neutralita'

Le organizzazioni umanitarie sono neutrali. Fin dalla battaglia di Solferino quando e' stata creata la prima organizzazione umanitaria di tutti i tempi (la Croce Rossa Interazionale), e' stato stabilito che chi offre aiuto umanitario durante i conflitti non deve chiedersi da che parte stiano le vittime. Le vittime sono esseri umani, e questo deve bastare. Il principio di neutralita' - oltre che avere una forte motivazione morale - e' anche una garanzia di sicurezza per gli attori umanitari. Se ci schierassimo da una parte o dall'altra, potremmo diventare bersagli del nemico. O l'accesso ad alcune aree controllate dal nemico potrebbe esserci proibito.

Tutto questo, naturalmente, vale benissimo in teoria. In pratica, qui in Congo la neutralita' e' pressoche' impossibile. Le Nazioni Unite stanno aiutando l'esercito Congolese contro i ribelli (almeno, questa e' la versione semplificata e ufficiale di questo complessissimo conflitto). E noi organizzazioni umanitarie siamo tutte coordinate, supportate e protette dall'ONU. La neutralita' va a farsi friggere.

Ad essere sinceri, alcune ONG si rifiutano di collaborare con l'ONU proprio in nome di questo principio. Come la Croce Rossa, appunto, o Medici Senza Frontiere. Ma questo causa dei problemi per tutti. Non si presentano alle riunioni di coordinazione, non informano nessuno su quello che fanno, sono sempre irraggiungibili. In un posto in cui ci sono decine di operatori umanitari sul terreno, se non si collabora allo sforzo di coordinazione dell'ONU si finisce per pesarsi i piedi a vicenda, il che danneggia prima di tutto i beneficiari.

Un'amica che si occupa di Advocacy sta facendo uno studio su quanto l'entita' politica della MONUSCO danneggi lo sforzo umanitario sul terreno. Le ONG sono viste come parti nel conflitto dalla popolazione locale? Il Coordinatore Umanitario dell'ONU (che e' allo stesso tempo rappresentate del Segretario Generale in Congo)  e' veramente un umanitario o e' piuttosto un politico? Le informazioni sulla sicurezza nel paese sono raccolte da fonti militari, non umanitarie: ma e' vero che quanto e' periocoloso per i soldati ONU e' pericoloso per gli umanitari e viceversa? E' giusta questa sovrapposizione? E che dire del ruolo delle agenzie come UNICEF, FAO e UNHCR? Quanto e' politicizzato il loro lavoro nell'umanitario, dato che sono integrate nella missione militare della MONUSCO?

Tutte queste sono domande interessanti e sensate. E una riflessione in questo senso per ora e' mancata, come si capisce dal fatto che l'interazione fra sfera politica e umanitaria nell'ONU e' lasciata in mano alle personalita' dei singoli individui piu' che da decisioni coerenti. Ad esempio, il mio amico E capo dell'agenzia ONU per l'aiuto umanitario (OCHA) non permetteva al personale MONUSCO di partecipare alle riunioni umanitarie dei comitati inter-agenzie CPIA. Il suo successore invece si'.

Dal mio punto di vista, questa sovrapposizione di proposito umanitario e politico nell'ONU non causa molti problemi sul terreno. Qui non siamo in Afghanistan, in cui bisogna stare attentissimi a come ci si schiera perche' - anche come umanitari - si puo' facilmente passare ad essere percepiti come parte del "nemico occidentale". Questa non e' una guerra fra due parti. E' piuttosto un territorio senza legge, pieno di gruppi armati piu' o meno formali, scorribande, ruberie, corruzione e impunita' assoluta. C'e' poca politica, sul terreno. La gente combatte piu' per il proprio tornaconto privato che per un'idea o un partito. Quindi, per quanto mi riguarda, piu' l'ONU aiuta noi umanitari e meglio e'. Non mi sento messa a rischio da questa collaborazione, ne' mi sembra che gli obiettivi politici della MONUSCO mettano a repentaglio la nostra azione neutrale a favore di tutti i Congolesi.

Ma questo, naturalmente, e' soltanto il mio parere. Parere di chi, pur essendo a Goma da un anno, ancora non ha capito cosa  diavolo stia succedendo tutto intorno a casa sua.

venerdì 28 gennaio 2011

Un personaggio

Il pianeta umanitario non e’ altro che un grande villaggio. Per quanto si cammini in vicoli stretti e oscuri, si finisce sempre per incontrarsi, scontrarsi e reincontrarsi negli snodi principali chiamati Congo, Haiti, Afghanistan, Indonesia e Sudan . Se si e' stati in giro per una decina d’anni, si aggiungono Bosnia, Iraq, Sierra Leone, Rwanda e Somalia. Tutto qui. E visto che il mondo e’ piccolo e la gente mormora, ci si trova a trottare per il globo con una bella reputazione intercontinentale appicciata addosso. Proprio come e’ successo a S - una delle mie persone preferite qui a Goma.

S e’ un afghano. Uno di quei brillanti individui che ha cominciato a lavorare come staff nazionale nel suo paese e che poi e’ riuscito a fare il salto di qualita’, diventare un expat, e farsi inviare altrove. Quando, una sera di quasi un anno fa, H l’ha reincontrato dopo tanto tempo, quasi sveniva per l'eccitazione: « S! Sei tu! Il famoso, famigerato S di Kabul… qui a Goma! » Incuriosita dalla sua reazione, le ho chiesto subito spiegazioni. E quella stessa sera, dondolando sull’amaca in veranda, H mi ha introdotta alla vita personaggio, dipingendomene un quadro incredibile.

S e’ colui che riesce ad introdursi in tutti i traffici piu’ loschi nelle citta’ in cui vive. Colui che a Kabul e’ stato scoperto in una sessione di sesso selvaggio con la moglie del suo capo, a casa del suo capo, sul divano del suo capo. Colui che in Sudan ha organizzato una grande festa piena di alcolici che e’ stata interrotta dalle autorita’ islamiche. Lui e’ stato arrestato e messo sotto processo, e poi grazie ad amici di amici e’ riuscito a fuggire da Kartum, dove e’ ancora ricercato. Colui che qualche mese fa e’ andato in R&R a Parigi per una settimana, ha incontrato la sua ragazza (che al momento lavora in Sudan del Sud), e l’ha sposata. Sposata in vacanza. E durante un’altra vacanza hanno comprato casa.

In Congo, tutti conoscono S. Quando mi trovo a Kinshasa e Bukavo, mi basta dire che abito a Goma perche’ la gente mi chieda: « E S lo conosci ? » Certo che lo conosco, siamo amici. Tra di noi c’e’ una simpatia istintiva incredibile. Ci incontriamo a tutte le feste, visto che siamo entrambi nottambuli. E ogni volta, quando arrivano le due o le tre di notte e lo intravedo nella luce intermittente ballare inebriato nella sua caratteristica posa a pugni chiusi, non posso fare a meno di pensare : « Questa e’ l’immagine-simbolo del divertimento di Goma. Della meravigliosa follia che mi circonda. Sono alla festa giusta ».

sabato 22 gennaio 2011

Prima dell'alba

Dopo un mese di stacco, è arrivato il momento di salire sul mio volo di ritorno. Non lo nascondo, ho un po' paura. Il Congo scotta: bruciarsi è già successo e non c'è nulla di più facile che scottarsi di nuovo. Ho paura della solitudine, il mostro che faccio tanta fatica ad affrontare. Mi chiedo come una persona che ha tanto bisogno di circondarsi di affetto scelga in continuazione una vita di esilio. E vado con una valigia colma di nuovi propositi, sia personali sia professionali, che non sono sicura di riuscire a compiere, ma che allo stesso tempo non posso permettermi di infrangere. Sento la pressione addosso.

Eppure, al tempo stesso ho voglia di tornare. Ho voglia di caldo, di Africa, di sfida. Ho voglia dei miei coinquilini e dei pranzi assieme la domenica. Ho voglia di lavorare e di imparare e di crescere. Di fare. Di intraprendere il prossimo passo, dare una forma più chiara al mio futuro. Questo è solo l'inizio, ora si tratta di definire una linea.

Devo farmi coraggio, prendere un respiro profondo e tornare con un sorriso. Goma mi attende.

venerdì 14 gennaio 2011

Considerazioni affettive

E' trascorsa un'altra settimana lontana dall'Africa.

Durante questo periodo ho fatto molte cose, ma l'unica veramente importante è che sono riuscita ad vedere tutte le persone a cui voglio un bene assoluto. Sono quasi una decina, sparpagliate in vari paesi su due continenti. E le ho incontrate tutte, tra gli abbracci e le lacrime di gioia. Ho trascorso ore addentrandomi in tutti i particolari delle loro preziosissime vite, come loro hanno fatto con me.

E' stato un dolce ritorno alle origini, e anche - in un certo senso - una rivelazione. Mi ha fatto riscoprire cose che già sapevo. Le lezioni più essenziali sono sempre quelle che non smettiamo mai di apprendere.

Mi ha fatto capire che amo e sono amata, anche se scelgo una vita di lontananza dai miei cari. Che quando mi sento sola io in realtà non sono sola. Quando mi sono sentita sola io in realtà non ero sola. E quando mi sentirò sola io in realtà non sarò sola. Non posso mai più dimenticarmene. Non ho bisogno di elemosinare affetto. Nè di conquistarlo. Nè di concedere alcunchè per averne.

Perchè ne ho, ne ho da vendere, ne ho di già a bizzeffe. E tutto il resto è solo un gioco.

sabato 8 gennaio 2011

La torre d'avorio

Un'overdose di cultura, ecco cosa è stata. Milano, Lugano, Londra. Musica, film, mostre. Cinema d'essai, grandi produzioni, il teatro nel West End. Giornali e caffè, riviste di politica internazionale. Tiziano e Gauguin, Dalì e il Partenone, James Callum e Ciurlionis. I sushi bar, la Milano da bere, i pranzi con piatti quadrati all'ultimo piano dei musei, con vista sulla città azzurra d'inverno. E' stato un turbine meraviglioso dal quale sono uscita dissetata, dopo un anno di terra bruciata culturale. Dissetata, ma anche perplessa.
Per la prima volta, mi sono trovata ad essere insofferente di fronte a certe forme di cultura elitaria e narcisistica. Mentre in passato mi crogiolavo nell'esclusività di un certo intellettualismo artistico - e ambivo ad avervi accesso quando la mancanza di riferimenti non me lo permetteva - oggi mi viene semplicemente a noia. Un film francese traboccante di dialoghi eruditi, con incorporata una speculazione contorta sul concetto di copia artistica. O una session di musica sperimentale fatta di vibrazioni gracchianti e stridoli squittii, osannata da un  piccolo pubblico auto-compiaciutamente avant-garde. Un tempo mi avrebbero incuriosito, stuzzicato. Oggi mi irritano.
Non c'è nulla di intelligente, in quest'arte ossessionata da sé stessa. Un'arte che si guarda l'ombelico. Per la prima volta mi permetto di essere drastica su questo punto. La torre d'avorio non è la risposta, e chi lo crede sbaglia. La cultura non serve per riflettere altra cultura, serve per riflettere la realtà. La realtà esiste ed è infinita e implora di essere notata. Il mondo è grande, colorato, pieno di abissi e profondità e dilemmi da scandagliare; di commozione e fragilità e bellezza da celebrare; di energia, di rabbia, di gloria. 
Dopo un anno di Goma ho la forza di dirmi, con una sicurezza assolutamente senza precedenti, che l'arte per l'arte non è solo un gioco: è un insulto. E una sacrosanta perdita di tempo.

Conferma

Adoro l'Europa, per quanto ne fugga. Qui sono felice. Me ne sono accorta - di nuovo - in questi ultimi quindici giorni.
Questa felicità è quanto di più rassicurante possa accadere ad una viaggiatrice. E' una conferma preziosa che no, non sto fuggendo da nulla.