sabato 20 marzo 2010

Goma-Kigali

Scrivo da Kigali, la capitale del Rwanda. Punto di transito obbligatorio per prendere qualunque aereo, dato che le nostre misure di sicurezza proibiscono categoricamente l’uso di compagnie aeree congolesi. A Kigali si arriva in macchina, attraverso quattro ore di curve verdi, distese di colline infinite e campi di the. Quattro ore che passano in fretta, il paesaggio e’ cosi’ bello che non ci si crede. E’ giusto assaporarlo lentamente, senza parole, deliziosa intercapedine tra il gorgo grigio di Goma e tutto il mondo di fuori.

Il confine col Rwanda, a cinque minuti da casa mia, offre il primo stupore. Dopo due mesi di vita in una citta’ con strade da rally, con buche e massi e crateri che spezzano le schiene e gli ammortizzatori, trovarsi di punto in bianco su una strada asfaltata e’ spiazzante. Una strada perfetta, liscia liscia, con la riga bianca in mezzo e ai lati. Non me l’aspettavo, la riga bianca in mezzo. Mi sembrava un vezzo fuori luogo, uno schiaffo in faccia ai congolesi. Anzi tutta Giseny, la cittadina di confine, mi sembrava assurdamente leziosa. Col lungolago e le siepi potate e gli hotel chiamati Belvedere. Mi sembrava di essere in Liguria, con quella luce, quella costa tortuosa e boschiva.

Anche Kigali sorprende per contrasto. Con le sue strade ondulate di collina, il terriccio rosso e le donne in abiti colorati, trasuda Africa da tutti i pori. Eppure non ho nulla a che vedere con Goma e Bukavu. E’ ordinata, e’ curata, ha i semafori e i negozi e i cartelli stradali nuovi con scritte bianche a sfondo blu. Le aiuole con i fiori con le palme in fila, con l’orlo a striscie bianche e nere. Perfino l’aeroporto. Non capisco come possa essermi sembrato piccolo e povero, al mio arrivo. C’e’ un parcheggio con le striscie disegnate per terra, un bagno col sapone, e un bar con i croissants.

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