domenica 6 giugno 2010

Grants

Spesso mi chiedono cosa mi piaccia del mio lavoro. Per la maggior parte delle persone qui sul terreno, il mio lavoro è pura e noiosa burocrazia. Certo, non ho il privilegio di passare le mie settimane in jeep 4x4 sui terreni accidentati di Rutshuru e Masisi. Non mi capita spesso di guardare negli occhi i beneficiari, né di passeggiare per i villaggi sperduti sulle montagne facendomi seguire da bambini urlanti. Detto questo, faccio un sacco di altre cose.

La scrivania di Grants è un punto di osservazione ottimale per capire il meccanismo dell’aiuto umanitario in tutti i suoi passaggi. Dal donatore a Washington al famoso villaggio dei bambini. Quali sono le fonti di denaro, come decidono di spenderlo, quali sono le loro priorità. Perché ovviamente ogni donatore ha priorità politiche ed economiche nel distribuire i suoi fondi. E da parte nostra, come i soldi vengono spesi, quali sono i trucchi per far quadrare i budget, come si misurano i risultati. Quelli veri e quelli su carta. Devo visitare tutti i progetti, facilitare la comunicazione interna fra i veri dipartimenti, essere al corrente di tutto quello che succede. Leggere, correggere, mettere in bella forma i rapporti trimestrali di tutti. Seguire l’andamento di ogni programma nel tempo, conoscerne i successi e gli insuccessi. Questo significa imparare come funziona ogni settore: educazione, salute, gender based violence. Almeno passivamente. E poco a poco verrà la parte strategica, quella di facilitare la preparazione di nuove proposte per aprire nuovi programmi. Poi sono d’accordo, ci sono anche parti noiose. Per esempio tutto quello che implica conoscere a memoria le regole dei donatori e verificare i contratti. Ma per il momento non mi sembra di potermi lamentare. Si tratterà poi di capire che direzione prendere, quando sarò pronta per la prossima tappa.

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