Nel mondo del lavoratori umanitari in Congo, quelli basati a Goma sono oggetto di particolare invidia per uno specifico motivo. A Goma c’è il supermercato. Dove si comprano prodotti occidentali.
L’hanno aperto da poco, un annetto o giù di lì, ed è stata la benedizione dell’expat che si deve sorbire mesi e mesi di banane fritte e manioca. In realtà, se comparato a un supermercato europeo l’analogo locale ha ben poco di cui vantarsi. Un minimarket di paese, ecco a cosa sembra. Ma la cosa più sorprendente sono i prezzi. Ero stata avvertita, ma non avevo realizzato la portata del furto. Mezzochilo di pasta (Barilla!), tre scatole di pelati, sei yogurt, sei mele, uno shampoo e una bottiglia di olio d’oliva. Sessantuno dollari americani. “Forse non mi posso permettere le mele”, penso preoccupata. Apro il portafoglio, e tiro un sospiro di sollievo. Ho una banconota da cento dollari.
Ma qui arriva la vera sorpresa. Non me la accettano. Perché è rotta, dicono. Un angolo è smangiato, non va bene. Anche qui, a essere onesta, devo ammetterlo. Ero stata avvertita. Qui accettano solo dollari belli, lisci, senza pieghe. E se le pieghe ogni tanto possono passare, le lacerazioni no. Nemmeno di un millimetro.
Io però non desito. Sono cento dollari, cento! Il capo del supermercato viene alla cassa e mi propone un accordo. Ti accettiamo i cento, ma ce ne teniamo venti. “Dico, ma c’ho scritto cretina in faccia?”, vorrei dirgli. Poi mi mordo la lingua. C’ho scritto in faccia che sono bianca, quindi secondo loro infinitamente abbiente. Gli lascio le mele, l’olio, lo shampoo. Prendo quello che posso con trenta dollari, ciò che mi rimane. E come resto chiedo monete lavate, stirate e inamidate, da riporre nel cassetto con un sacchettino di lavanda.
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