Sono venuta qui per sostituire P, e spero di esserne all’altezza. Poche volte ho incontrato una ragazza così in gamba, così professionale, così tosta. Deve avere la mia età, ma quando parla sento che ha più esperienza di me. E’ abituata al comando, non la imbarazza avere due persone che dipendono da lei. Dovrò gestire io R e A, a partire da lunedì. Non l’ho mai fatto, ho un po’ paura.
P è mezza congolese mezza iraniana. E’ bella, sicura di sé, carismatica. Forse perché ha trascorso una vita incredibile, che se non l’ha fatta impazzire l’ha resa geniale. Un infanzia in Congo, in un villaggio. Ricorda di quando si faceva la doccia con l’acqua piovana raccolta nella cisterna dietro casa. E adolescenza in Iran, nel mezzo degli anni novanta, durante la repressione. La polizia islamica bussava alla sua porta quando ascoltava Michael Jackson, come nei fumetti di Marjane Satrapi. Un’adolescenza di noia, a quanto dice lei. Non c’era nulla da fare e solo quattro canali alla televisione, e chi aveva l’antenna rischiava di brutto. Una volta un suo vicino si è fatto cuccare con la parabolica, qualcuno ha fatto un soffiata, e si è beccato un po’ di botte. “Ha superato il trauma”, ha glissato lei col sorriso. E poi università in Francia, dove finalmente è stata libera.
E ha l’aria tutta Parigina, questa ragazza. Un po’ impertinente, un po’ peperina, un po’ principessa. Ma anche straordinariamente gentile, calorosa, umana. E’ lei che mi ha organizzato la piccola seratina di benvenuto, la prima sera . Mi dispiace doverla sostituire, avrei voluto lavorare con lei. Ora però deve tornare a New York, dove abita. Il suo quarto continente in meno di trent’anni. Dove continuerà a vivere come una stella danzante.
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