Le regole sugli spostamenti inside Goma variano da organizzazione a organizzazione. Io e i miei colleghi non siamo autorizzati a guidare e ci dobbiamo affidare agli autisti perfino per andare al supermercato. Al contrario, altre organizzazioni lasciano le automobili in mano a chi ci lavora. Automobili non è un temine esatto, perché si tratta in ogni caso di jeep mastodontiche, quasi ridicole nella loro stazza. Quando F mi è venuta a prendere a bordo di quel carro armato, non ho potuto fare a meno di sorridere. Ho pensato che fosse un’esagerazione. E invece esagerazione non è, dato che 14 mesi fa Goma è stata a un passo dall’assedio da parte dei ribelli.
Salto sul sedile situato a un metro da terra, e lei prende in mano la ricetrasmittente. Dice il suo nome in codice, si localizza, comunica dove sta andando. Qualcuno dall’altra parte prende nota. “Scusa, è prassi”, accenna con disinvoltura. Io rimango impressionata. Richiama quando arriviamo al bar, deve specificare che è arrivata a destinazione sana e salva. La nostra cena è interrotta dal radio check serale. La chiamano. “Nomeincodice, tutto bene?”. “Sì base, tutto tranquillo”. E poi li richiama quando si esce, per dichiarare il percorso di ritorno. Mi sembra un’assurdità, mi sembra un film. Mi sembra un gioco. Ho la fastidiosa sensazione di non aver ancora capito dove siamo.
La stessa che ho provato quando il mio collega R ha detto che la barchetta “parcheggiata” di fianco alla nostra terrazza potrebbe essere utile in caso di evacuazione. Ho riso, pensavo fosse una battuta. Invece era serio. “Il confine col Rwanda è vicino, all’occorrenza basta remare un po’”, ha aggiunto, a mo’ di spiegazione.
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