Tempo fa parlavo con un vecchio compagno di liceo che sta svolgendo un dottorato nel Regno Unito. Spiegandomi la sua tesi sulla psicologia dello sport, mi diceva che non esiste un momento in cui il corpo "non ce la fa più" a compiere uno sforzo. Quando ci si ferma è solo perchè decidiamo di farlo, non perchè il corpo smette di rispondere. Per quanto mi riguarda, questa tesi è stata comprovata questo weekend, quando con un gruppo di intrepidi temerari ho scalato il Nyragongo. E' stato massacrante, assolutamente al di là delle mie possibilità. Ma non ci si poteva fermare, e non l'ho fatto.
Sette ore e mezza di salita. La prima ora di cammino si è svolta nella giungla, nella vera foresta tropicale. Poi è stata la volta del dorso della montagna, coperto di sassi di lava condensata, in una vegetazione arida e profumata come quella della Sardegna. Ogni tanto si vedevano delle fuoriuscite di fumo dalla terra e si sentiva odore di zolfo. Su qualche albero, come dei nidi, c'erano dei grumi di lava condensati sui rami. Dopo queste prime quattro ore di marcia intensa, è cominciata la vera salita, quella ripida. Lunghissima e ardua. L'altitudine era tale che cominciava a mancare l'ossigeno, ci dovevamo fermare ogni pochi metri per riprendere fiato. E' a quel punto che ha cominciato a piovere, anzi a grandinare. Non ci potevo credere che fosse grandine, faceva così caldo per noi scalatori... Una grandine tropicale, furiosa. E noi avanzavamo, passo dopo passo, su un sentiero che era diventata una cascata, con l'acqua fino alle caviglie, per altre due ore. Se fossi stato possibile fermarsi l'avrei fatto, la mia fatica me lo imponeva. Ma non era possibile, bisognava continuare. Chiedevo alle guardie quanto mancava, ogni pochi minuti. E come si fa con i bambini, loro rispondevano: "Siamo quasi arrivati".
Quasi sulla cima, ci siamo intrufolati in un piccolo rifugio di lamiera. Faceva freddissimo, e noi ci stringevamo tra di noi per scaldarci. Mancava solo l'ultimo tratto, una parete così verticale che ogni tanto si doveva avanzare a quattro zampe. Sfiniti e grondanti, ci siamo inerpicati. Al buio, col terreno bagnato, senza aria per respirare. Faceva paura. Ma - miracolo - una guardia mi ha dato la mano. Mi ha dato la mano e mi diceva dai che ci siamo. Un ranger delle montagne col fucile a tracolla e tuta mimetica che mi diceva dai che ci siamo... Ero stordita di fatica, ricordo solo un alone rosso intorno alla cima della montagna, mentre risalivo. Era il riverbero della lava. Si vedevano appena le ombre di quelli che erano già arrivati in cima. Si muovevano contro luce, montando le tende. E alla fine c'eravamo davvero.
Beautiful imagery about the red halo and the shadows of the climbers. I can almost picture it.
RispondiEliminaBravo
Thank you, it was really surreal... As if it was a hallucination, but it was not a hallucination.
RispondiEliminaHei, I came across this link on Facebook by chance. Amazing Viviana! I`m just speachless about your performance. It must be so exiting to reach the top and once there I can only imagine the sense of Satisfaction you got. Moreover Really good description in details about the arrive up there. Your pseudo-halluciantions were due to the lack of Oxigen probably (quite high the Volcano more than 5000 meters). :))))). It seems it was interesting and helpfull last time we talked together. Thank you anyway to cite me (hehehehe). Since it seems you are so into my theories I`ll send you this link which recalls the second paper I published just few weeks ago. You might find it of your interest. http://running.competitor.com/2010/03/features/sports-science-update-perception-is-everything_9067
RispondiEliminaEnjoy it and I hope to see you soon.
ciao walter! visto come sto attenta quando parli?
RispondiElimina