mercoledì 15 dicembre 2010

Bukavu


Bukavu e’ una citta’ vera, e viva. C’e’ traffico per strada, rumore, bancarelle. Addirittura un po’ di musica qua e la’ - altoparlanti che trasmettono reggae jamaicano come nel resto d’Africa. Ci sono matatu, mercatini, taxi. Automobili civili. Un ronzare continuo di attivita’ e piccoli commerci, merci che si spostano, clienti che comprano.

La gente del Sud Kivu ha uno spirito imprenditoriale, tanto che al Nord li chiamano gli wa-chinois, i « cinesi » (wa- e’ prefisso plurale in Swaihili).

Si tratta pur sempre di una citta’ povera e maleodorante, ma almeno non sembra che ci sia appena caduto sopra un meteorite. Almeno non si ha l’impressione di vivere in un mondo alla rovescia, un mondo muto e traballante e fragile e tagliente come quello di Goma. E’ semplicemente una cittadina congolese, sul lago Kivu. Coste sinuose e terra rossa, frutta marcia e fiori.

Eppure, Bukavu non tocca il mio cuore. Mi scivola addosso senza lasciare traccia. In un certo senso perverso, preferisco mille volte le vene nere e aperte della mia Goma dissanguata.

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