mercoledì 30 giugno 2010
Commiato
domenica 27 giugno 2010
Regole
martedì 22 giugno 2010
Oggi sono entrata in un carro armato.
domenica 20 giugno 2010
Disaster junkies
Non so come mi sia potuto succedere. Sembra una perversione, e allo stesso tempo sembra coraggio. Forse ho semplicemente bisogno di profondità, e nulla è profondo come la sofferenza. Lo dice anche la bossanova. Tristeza nao tem fim, felicidade sim.
sabato 19 giugno 2010
Riunione
Abbiamo parlato di guerra, come sempre nelle riunioni OCHA. Ma mentre a Goma è l'ONU che informa la comunità umanitaria sulla situazione militare, questa volta sono le organizzazioni a raccontare i movimenti dei gruppi armati. Organizzazioni come la nostra, sempre sul terreno, che raccolgono informazioni mentre lavorano. E poi abbiamo parlato di dati. Malnutrizione, violenza sessuale, malaria, colera, tifo. Una pioggia di informazioni nauseante, da far venire voglia di piangere, o di vomitare.
Certe volte sembra che nulla sia possibile, che sia tutto troppo brutto, troppo feroce. Perchè ci sono 50 casi dichiarati di violenza sessuale alla settimana in una zona così piccola? Perchè nel 2010 la gente muore ancora di tifo? Di malaria? Di malattie che bastano due pillole a guarire? A volte sembra semplicemente troppo per poter fare qualcosa. Sembra un enorme scherzo crudele, un rompicapo senza soluzione.
venerdì 18 giugno 2010
Masisi
Tutto attorno, la campagna di Masisi è di una bellezza mozzafiato. Colline verdi, cielo blu. Laghi incastonati nella terra ondulata. I villaggi sono dispersi in questa campagna sconfinata. Poveri, isolati, praticamente inaccessibili. Gli abitanti sono Congolesi rwandofoni, o rwandesi appena arrivati. E' difficile distinguere i returnés dai déplacés, difficile dire chi va e chi viene, chi occupa e chi è occupato. Sono tutti vittime del conflitto, i loro villaggi vengono presi e saccheggiati e le ragazze violentate da tutti i militari che passano. Sono anche malnutriti, pur vivendo in una terra così fertile. Sono costretti a coltivare le terre vicino a casa perchè i loro campi, su sulle colline, sono inaccessibili a causa dei movimenti dei militari. O sono occupati da altri. E allora loro vivono di sussistenza e delle distribuzioni di cibo mensili del World Food Program. Alcuni vivono ancora nei campi profughi. Aspettando che cambi qualcosa, prima o poi.
Kitchanga
mercoledì 16 giugno 2010
Schizzinosa
Non ho tempo di spiegare il nostro programma, solo di dire che in momenti come questo non credo proprio di essere fatta per la vita sul field. Sto scrivendo dall ufficetto di un francese gentile di UNHCR che mi sta prestando il suo computer. Fuori pioviggina, e l'unica strada sterrata del paese è un pantano micidiale. Mangeremo in una capannetta prima che faccia buio perchè l'elettricita non esiste e il coprifuoco è prestissimo. E vada. Mangeremo fufu, foglie di manioca bollite, banane lesse e patate cotte. E vada. Non mi piace molto l'idea di mangiare con le mani in un posto lurido come questo ma non ci posso fare nulla.
In albergo non c'è l'elettricità, e questo da un po' fastidio perchè abbiamo solo le candele, che non sono il massimo dela praticità per leggere e lavorare. Poi. In albergo non c'è la doccia! C'è solo un rubinetto all'esterno della casa da cui ci si puo lavare col secchio; e io penso di evitarmelo perchè non la privacy non è esattamente garantita. Forse potremo fare la doccia stasera dalla casa ancora vuota che stiamo affittando, ma senza acqua calda. E qui che ci si creda o no fa freddo perchè siamo in montagna.
E per finire in albergo non c'è nemmeno il bagno, solo la latrina ossia scatola-di-legno-puzzolente-con-il-buco, fuori dall edificio. E ho già menzionato gli escrementi di capra nel corridoio? Ommioddio voglio tornare a casa...
lunedì 14 giugno 2010
La casa latina
Per la prima volta da quando ho cominciato a vivere viaggiando, mi sono fatta un gruppo di amici italiani. Sono sempre stata così ansiosa di sprovincializzarmi, di aprirmi, di perdere il mio accento e i miei tic italici, che per anni ed anni ho evitato ogni contatto con i compatrioti all’estero. E devo dire che ho ottenuto il mio scopo. Non gesticolo, non parlo ad alta voce, ho un accento neutro e difficilmente identificabile. Nella stragrande maggioranza dei casi, la gente mi chiede se sono francese. A volte se sono olandese.
Vivo e lavoro con un gruppo di americani, e mi ci trovo benissimo. Mi piace il loro modo di fare, così energico, così pragmatico. Mi piace il fatto che si svegliano presto al mattino per correre prima di andare in ufficio, e che la gerarchia è completamente piatta. Il mio capo ha trentun anni ed è un mio coinquilino come tutti gli altri. Mi piace il fatto che si lavora tanto, che la grinta è la qualità più apprezzata, che l’età non conta, né la nazionalità. Conta solo come lavori.
Ma quando scende la sera, quando arriva il fine settimana, non sono mai stata così contenta di ritrovare i miei italianitos. Così rilassati e a loro agio con la vita. Così espressivi. Così cool (come direbbero i miei colleghi), senza nemmeno farlo apposta. Viene naturale. Così calorosi che passiamo la metà del tempo abbracciati gli uni agli altri. E anche l’umorismo è diverso, giocoso, fantasioso, senza le punch lines e il timing e il taglio graffiante dell’humor anglosassone. E poi balliamo, balliamo fino a tardi, fino a che siamo sfiniti, e non c’è nemmeno bisogno di bere perché la gioia di vivere l’abbiamo trovata inclusa nel pacchetto genetico.
A volte passo il pomeriggio nella casa latina, una bellissima villa sul lago dove vivono due meravigliosi ispanici. Si arriva, si parla, si beve un caffè. Si fa un bagno nel lago, una siesta sull’amaca. Non si contano le ore, l’importante è stare assieme. E la giornata scivola via lenta e oziosa, come se non esistesse che il presente.
domenica 13 giugno 2010
sabato 12 giugno 2010
Dialoghi sparsi di un sabato a Goma
venerdì 11 giugno 2010
La rivoluzione estetica
Qualche settimana fa a Goma è successa una cosa mai vista. E' stata inaugurato un monumento. In una città fatta di macerie, di briciole, in questo ammasso disordinato di case rotte e di polvere, è sorta una statua. Un'opera d'arte.
mercoledì 9 giugno 2010
Arte Africana
Oggi ho comprato i miei due primi pezzi di arte africana! Qui a Goma ci sono parecchi rivenditori al dettaglio di statue e maschere locali: sanno che gli expats spesso sono interessati. Grazie a una serie di contatti sparsi per il paese, acquistano oggetti di artigianato in cambio di abiti, zucchero e capre. I prezzi sono alti, ma nulla al confronto al costo di questi oggetti una volta giunti in Europa.
Ho comprato una maschera bellissima, elegante, quasi stile art nouveau. Viene dalla regione Orientale, nel nord del Congo, dalla tribù Baquele. E’ una maschera dalla funzione speciale, appartiene alla casa del re del villaggio. Quando lui è in casa, la maschera è esposta. Quando esce, la maschera è nascosta. Lo rappresenta simbolicamente, in modo che tutti sappiano se il re è presente o assente.
Il secondo pezzo è in realtà una coppia di oggetti. Sono dei “poggiatesta” in legno, una specie di equivalente di cuscino. Non credo siano comodi, però sono belli. Uno per lui e uno per lei, regalo di nozze di un principe Baluba di un villaggio del Katanga, la provincia più a sud, al confine con lo Zambia. Tra i due listelli paralleli che li compongono (la base e il poggiatesta) sono scolpite due statuette, a mo’ di cariatidi, sedute una di fronte all’altra con gli arti intrecciati. Simmetriche e essenziali, ma allo stesso tempo giocose nella loro strana posa. Mi piacciono tantissimo.
domenica 6 giugno 2010
Grants
Spesso mi chiedono cosa mi piaccia del mio lavoro. Per la maggior parte delle persone qui sul terreno, il mio lavoro è pura e noiosa burocrazia. Certo, non ho il privilegio di passare le mie settimane in jeep 4x4 sui terreni accidentati di Rutshuru e Masisi. Non mi capita spesso di guardare negli occhi i beneficiari, né di passeggiare per i villaggi sperduti sulle montagne facendomi seguire da bambini urlanti. Detto questo, faccio un sacco di altre cose.
La scrivania di Grants è un punto di osservazione ottimale per capire il meccanismo dell’aiuto umanitario in tutti i suoi passaggi. Dal donatore a Washington al famoso villaggio dei bambini. Quali sono le fonti di denaro, come decidono di spenderlo, quali sono le loro priorità. Perché ovviamente ogni donatore ha priorità politiche ed economiche nel distribuire i suoi fondi. E da parte nostra, come i soldi vengono spesi, quali sono i trucchi per far quadrare i budget, come si misurano i risultati. Quelli veri e quelli su carta. Devo visitare tutti i progetti, facilitare la comunicazione interna fra i veri dipartimenti, essere al corrente di tutto quello che succede. Leggere, correggere, mettere in bella forma i rapporti trimestrali di tutti. Seguire l’andamento di ogni programma nel tempo, conoscerne i successi e gli insuccessi. Questo significa imparare come funziona ogni settore: educazione, salute, gender based violence. Almeno passivamente. E poco a poco verrà la parte strategica, quella di facilitare la preparazione di nuove proposte per aprire nuovi programmi. Poi sono d’accordo, ci sono anche parti noiose. Per esempio tutto quello che implica conoscere a memoria le regole dei donatori e verificare i contratti. Ma per il momento non mi sembra di potermi lamentare. Si tratterà poi di capire che direzione prendere, quando sarò pronta per la prossima tappa.
venerdì 4 giugno 2010
Nightmare n. I
Pero' si sa come funziona lo stress. Si accumula nell'inconscio, irrazionalmente, con il sovrapporsi di tante piccole cose che mettono a disagio. Come ad esempio ricevere durante il pranzo un sms di OCHA che informa sugli "affrontements tres violents" a nord di Kitchanga, dove abbiamo una base. E trovarsi a chiedersi tutti assieme se le nostre squadre siano sul terreno. "Dov'e' J? E' partita questa settimana? No, e' rimasta a Goma, menomale...".
L'altro giorno poi e' successa una cosa brutta. Dei ladri sono entrati in casa di alcuni miei amici italiani (che - va detto - vivevano in una villetta dalle misure di sicurezza assolutamente inadeguate). Durante una cena in compagnia, si sono visti arrivare in soggiorno tre uomini armati, che dopo aver legato le guardie e fatto sdraiare tutti per terra hanno fatto man bassa di orologi e cellulari. Per fortuna nessuno e' stato ferito, ma lo shock deve essere stato terribile.
Questa settimana B sta rivedendo tutte le nostre procedure di sicurezza, e le cita almeno dodici volte al giorno. E per coincidenza, anche il security officer e' qui a Goma per il week-end. Insomma, ultimamente un sacco di dettagli mi costringono a ricordare che non vivo esattamente in Svizzera.
E voila', stanotte e' successo. Ho avuto il mio primo, piccolo incubo. Mentre tuonava il temporale, sognavo che cadevano bombe. Prima o poi doveva capitare.
giovedì 3 giugno 2010
sospesa
che si scioglie
nell'orizzonte di latte.
mercoledì 2 giugno 2010
La guerra per la terra
In Nord Kivu c'è la guerra, e questo è chiaro. Ma perchè ci sia la guerra, è meno facile da definire. Per cosa combattono, alla fin fine, tutti questi gruppi armati? E' una guerra inter-etnica? E' una guerra per il controllo del territorio? O per le risorse minerarie, come tanti occidentali sembrano pensare? Un esperto che ha vissuto e fatto ricerca in Nord Kivu per gli ultimi quattro anni mi ha confidato che a suo parere il motivo principale della guerra è la lotta per la terra.