Era cominciata in modo simpatico. Al mio ritorno da Zanzibar, coperta di polvere e collanine, trovo con infinita sorpresa tre bellissimi ragazzi nel mio soggiorno. "Oh, quelli sono i kayakers", mi informa B ammiccando, dopo avermi abbracciata. "Kayakers?", rispondo io, incredula. "Si, tre ragazzi che girano la regione dei grandi laghi in kayak. Stiamo dando loro una mano dal punto di vista organizzativo". E poi aggiunge con un sorriso: "Abbiamo passato un bellissimo weekend sul lago, mancavi solo tu".
Pranziamo assieme, sembrano simpatici. Raccontano di aver gia' navigato il Nilo, in Uganda, e qualche corso d'acqua sulle montagne del Rwenzori. Si apprestano ora a discendere il fiume Congo, da Kalemie a Kisangani. Mentre me lo dicono, vedono disegnarsi sul mio volto la solita espressione di scetticismo. "Volete davvero percorrere il fiume Congo? Ma vi rendete conto di quanto sia pericoloso?" Loro annuiscono, pieni d'orgoglio e di eccitazione. E dopo una mezz'ora si allontanano sull'acqua, remando con scioltezza in direzione di Bukavu.
Durante le due settimane seguenti, io, H e B ci troviamo piu' volte a parlare dei kayakers. "Totalmente impreparati", dice H, come al solito senza vie di mezzo. "Non hanno nemmeno una mappa del Congo, non sanno quello che fanno". "Si, non hanno capito che il Congo non e' come l'Uganda o il Kenya. Non avevano nemmeno idea delle procedure burocratiche per il visto d'ingresso, ho dovuto passare tutto il pomeriggio alla direzione delle migrazioni per riuscire a farli entrare". "Parlano francese?", inervengo io, ancora confusa. "Non una parola, ne' di francese, ne' di swahili". "E come faranno, allora?", chiedo sbalordita. "Ad attraversare migliaia di chilometri di terra vergine, con solo indigeni e gruppi armati sul cammino?" "Per non parlare degli animali feroci", aggiunge B. "E delle malattie tropicali", incalza H. "E dove pensano di trovare l'acqua potabile?", riprendo io, ancora. Nessuno sa rispondere.
L'altro ieri, nel bel mezzo del nostro pranzo in terrazza, il blackberry di B segnala l'arrivo di un'email. Lui lo afferra distrattamente, legge. E nel giro di un paio di secondi un terrore straziante s'impadronisce dei suoi occhi. "Oh my God!", urla con voce rotta. "E' successo qualcosa a A, uno dei kayakers!" Il suo tono ci colpisce come un pugno. Il suo viso e la sua voce non lasciano spazio a fraintendimenti: io e H realizziamo cio' che stiamo per ascoltare... E un'ombra di disperazione si espande piano su noi tre, infittendo gradulamente il silenzio che ci avvolge. B si mette a leggere, lentamente e sottovoce, la comunicazione di lutto. Avevano lasciato Kalemie solo da tre giorni. E' stato un coccodrillo.
Respiriamo, guardiamo il lago coperto di scintille di sole. Nessuno sa cosa dire, cosa pensare. E' sempre la stessa lezione brutale. Il Congo e' un assassino.
venerdì 10 dicembre 2010
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