Quando ho contattato F via e-mail una settimana prima di trasferirmi a Goma, lei mi ha subito informata. In un anno di Congo, bisogna mettere in conto almeno un assalto. Ossia un gruppo armato o dei soldati che ti fermano la macchina, minacciano e chiedono soldi. Ora, con tanto che vivo in Nord Kivu, non mi aspettavo che una cosa del genere sarebbe successa proprio nella relativamente tranquilla capitale.
Stiamo cercando la location di un concerto con istruzioni date per sms, prendiamo la stradina sbagliata. Dopo 200 metri ce ne accorgiamo e torniamo indietro. Et voila. La strada e' sbarrata e un soldato salta fuori da dietro l'angolo chiedendo amabilmente "chi-siete-dove-andate-che-cosa-volete". Cheppalle, ci vuole pure questo, gia' siamo in ritardo, penso io. Apro la portiera e rispondo gentilmente: "Abbiamo sbagliato strada, puo' aprire per favore?". Ma lui non e' simpatico, mette su l'aria minacciosa, e' evidente che non ha nessuna voglia di aprirci gratis. Capisco l'antifona, faccio roteare gli occhi, chiudo la portiera e la blocco. Ora e' sicuro che ci perdiamo l'inizio.
M ha piu' pazienza di me, prende la situazione in mano e comincia a raccontare il perche' e il percome abbiamo sbagliato strada. Meglio cosi', mi dico. Meglio lasciar gestire a lui tutta questa burocrazia orale. Lui e' un uomo e quindi automaticamente un interlocutore accettabile per questo fesso di un militare, a differenza della sottoscritta. Arriva un secondo soldato. Entrambi indossano i soliti fucili lunghi un metro a tracolla, come fossero una borsetta per signore. Provo ancora a intervenire, a dire che ci lascino passare. Mi chiamano madame e mi dicono di cambiare tono. Li mando mentalmente a quel paese e sprofondo nel sedile.
La cosa si tira in lungo, io mi innervosisco. Non ho paura, so che non e' nel loro interesse farci nulla, vogliono solo soldi. Perche' non arrivano al punto? In Nord Kivu la richiesta sarebbe stata fatta un quarto d'ora fa.
Finalmente si scantano, ma il modo in cui formulano la richiesta non puo' che farmi sorridere. "Voi andate a un concerto e noi stiamo qui ad annoiarci, che ingiustizia. Potete darci qualcosa per comprare delle birre?" L'ennesima disostrazione che in questo paese la dignita' proprio non esiste. M tira fuori quella che pare una scusa ripetuta mille volte. "Vorrei ma non posso, ogni dollaro che esce dalle mie tasche deve essere approvato dai miei superiori". Nel buio del mio sedile, io alzo le sopracciglia. Questa scusa non ha senso, non ci cascheranno mai. Loro insistono, lui ripete. Mi spiace, no-se-puede. Ma fa bene ad essere fermo, rifletto. Almeno fin quando non diventano violenti. Non possiamo mica metterci a smazzettare ogni soldato che vuole una birra.
Le trattative durano qualche minuto, e io sono genuinamente curiosa di vedere se la scusa delle approvazioni attecchisce. Sorprendentemente si'. I soldati capiscono che non e' cosa e finalmente decidono di lasciarci andare, dicendo con fare paternalistico di fare attenzione a non commettere mai piu' errori del genere. Sissignore. Prometto che non sbagliero' mai piu' strada nella mia vita, vorrei dichiarare, sarcastica. Ma mi trattengo, meglio non provocarli, e poi me ne voglio andare da questo lurido posto.
Solo tre giorni dopo ho pensato che erano armati, ed era una strada deserta. E io ero una ragazza, e bianca, e con un vestitino sopra al ginocchio.
giovedì 2 dicembre 2010
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