In Italia tutti si vestono di scuro. Cappotti neri, grigi, marroni. Tante ombre silenziose che scivolano su strade perfette. C’è asfalto ovunque, liscio e morbido. Ci si cammina velocemente, come piace a me, sentendo l’aria pungente contro, senza dover guardare per terra per paura di slogarsi una caviglia. Il sole sorge tardissimo, e la mattina resta una fase di luce intermedia e tremula che si sviluppa piano fino al mezzogiorno. Così diverso dall’equatore, in cui esistono solo pieno giorno e piena notte - con tramonti e albe per voltare pagina.
Sono entrata in un’edicola, in aeroporto. Dopo un anno senza stampa, era il paese dei balocchi. Ho sorriso fra me e me, sfiorando quelle copertine lucide tutte allineate. Ne leggevo bramosa i titoli, echi di lingue di tutto il mondo che descrivono il mondo stesso a noi lettori sparpagliati per aeroporti. Cercavo istintivamente notizie sul Congo, sull’Africa. Che succede nel mio, di mondo? Ma non ho trovato nulla. Un’assenza insopportabile, che mi vergogno di non aver mai notato prima. Fuori dall’Africa, l’Africa non esiste.
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