Kinshasa e’ una grande citta’. Infinitamente piu’ simile al nostro concetto di citta’ di quanto non sia Goma. Ha strade asfaltate, traffico, palazzi alti. Palazzi brutti, per la maggior parte, in stile un po’ sovietico. Sembra tutta un’immensa periferia abbandonata di qualche citta’ occidentale. Ogni tanto si vedono edifici coloniali, ancora dalle belle forme. Ma inevitabilmente sfatti, degradati, fatiscenti.
Eppure Kinshasa non e’ una citta’ deprimente, tutt’altro. E’ viva come non mai, ti colpisce come un pugno. Esiste una scena artistica assolutamente degna di nota, e Kinshasa e’ apertamente riconosciuta come una delle piazze musicali piu’ appassionanti del continente. La rumba scorre a fiumi, ci sono centinaia di gruppi musicali, entri in un locale e ti trovi nel fuoco incrociato di jam sessions di altissimo livello.
Come dice B, i Congolesi riescono sempre, anche nel mezzo dello schifo e della distruzione, a dare un certo “twist” alle cose, a renderle “edgy”. Ad aggiungere un non-so-che che le rende insolite, eccitanti, argute. Il Congolese, essenzialmente, e’ un creativo sbruffone, un teppista sfacciato, un esteta underground. E questo e’ vero a Kinshasa in particolare, dove non si respira l’aria traumatizzata dell’est. Kinshasa e’ la Roma di Petronio : decadente, sgraziata, eppure sensuale. E gli abitanti sono linguacciuti, impertinenti, ironici ed impeccabilmente eleganti.
La prima sera io e H abbiamo cenato in un ristorante indiano su una terrazza in cima ad un palazzo del centro, con una bella vista sulla citta’. Di notte, tutte le citta’ sembrano uguali. In cima a quella terrazza, potevamo essere in America. Se non fosse che per arrivarci abbiamo fatto sette piani di scale in un edificio fantasma. Ogni piano era diverso dal precedente, in un’escalation di fatiscenza e degrado. Insegne di uffici chiusi da anni, gradini scalcinati, luci rotte, puzza di urina. Faceva perfino paura. Per poi arrivare in cima e venire accolte con un sorriso da un distintissimo cameriere in divisa.
giovedì 5 agosto 2010
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