Sono giorni e giorni che ci chiediamo quali siano i motivi profondi della vicenda di Rutshuru. A ben pensarci, perché qualcuno dovrebbe avere interesse a cacciarci? Noi siamo umanitari, siamo neutrali. Perché siamo visti come nemici?
In realtà, l’aggressività e le minacce contro gli umanitari sono moneta corrente, qui in Congo come altrove. Siamo stranieri, la gente non ci identifica. Pensano che agiamo per i nostri interessi. Gente ignorante che vive di assunzioni sbagliate e viene facilmente mobilitata. E quelli che hanno un po’ di potere approfittano del fatto che siamo così individuabili e così indifesi per canalizzare un po’ di gente contro di noi, per creare spirito di gruppo. Per far sfogare la violenza. Per acquisire capitale politico.
Ma certo che nella particolarità del caso, ci si chiede come si possa essere arrivati a questi estremi. Siamo passati dalle dicerie contro di noi, alle lettere, agli sms con minacce di morte, agli attacchi fisici contro le nostre strutture e il nostro personale. Dopo un po’, l’idea de gruppetto di troublemakers che agita la gioventù non tiene più. Questo non è un caso come gli altri, non è routine. Soprattutto quando tutti i nostri accordi con gli ufficiali si sono rivelati inutili, quando tutte le nostre reazioni sono cadute nel vuoto. Quando ci si è accorti che non vogliono semplicemente spillarci qualche spicciolo.
No, tutto questo si inserisce in un disegno politico ben più ampio che tocca tutta questa regione del Nord Kivu. Non ci voleva credere nessuno, ma pare che sia così. Ci siamo inseriti nella lotta tutsi-hutu, congolesi-rwandesi, cattolici-protestanti. Ci sono così tante dinamiche politiche che si agitano qui nell’anarchia del Nord Kivu, e noi abbiamo pestato i piedi a qualcuno. Lavorando a così stretto contatto con le autorità mediche e locali, pagando i sussidi agli impiegati statali, inserendoci in modo così intimo nella gestione del territorio, era quasi inevitabile. Questa è una regione caratterizzata da faide violente, e noi ci siamo trovati nostro malgrado parte in causa.
Abbiamo passato ore ed ore a fare analisi della situazione, strettamente a porte chiuse. Noi internazionali, ma anche i membri più rilevanti dello staff nazionale, che conoscono il contesto infinitamente meglio di noi. Un opera di intelligence, praticamente, per investigare chi siano questi “giovani”. Una branca di un certo gruppo armato affiliato a un etnia. Così come questo e quel politico che ci ha promesso appoggio in questo e quel momento. Per cercare di capire quale zona è controllata da chi, quale gruppo fa parte di cosa.
Il quadro globale è ancora confuso. Vorrei poter specificare i dettagli, è appassionante. Ma sono informazioni troppo sensibili, e confidenziali. Mi dispiace. Sarebbe bello usare questo spazio per aprire uno scorcio su questa complessità. Ma questa è una storia che va scritta altrove.
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