Mercoledì scorso, per la prima volta nella mia vita, mi sono messa a piangere in ufficio. Al telefono con una collega.
Era l’ultima telefonata della giornata, ero contenta. Ero raggiante, per la precisione. Avevo appena concluso un meeting importante, sola con un donatore, ero andata e avevo portato a casa belle notizie. Era stato eccitante, andare dal donatore da sola, il mio capo da Kinshasa mi aveva chiesto se me la sentivo, io avevo detto di sì, mi ero preparata tutta la mattina. Dovevo parlargli della sospensione dei programmi a Rutshuru a causa delle minacce ricevute a partire dal 12 marzo. Dovevo raccontargli per filo e per segno quello che avevamo fatto, gli incontri con le autorità locali, le pseudo-evacuazioni, le riunioni. Dovevo dirgli che eravamo pronti a partire, di nuovo, lunedì. Che la capo squadra era appena tornata a Rutshuru per fare un assessment e poi tutti gli altri sarebbero tornati a lavorare, a far funzionare i diciassette centri di salute senza i quali la gente muore di parto, senza i quali i bambini non vengono vaccinati. E il donatore era stato comprensivo, era stato gentile, avevamo simpatizzato, porca miseria. Ha detto che sta con noi, che dobbiamo scusarli per la lentezza, la firma sta arrivando. Ero contenta quando sono uscita. Raggiante, per la precisione.
E poi arriva la doccia fredda. No Vivi, no. Non sono serviti a nulla, gli incontri. A nulla, le lettere di autorizzazione delle autorità locali. Non valgono niente le promesse di protezione che ci dà l’esercito. Uno dei nostri centri è stato attaccato, due volte, ieri sera e stamattina. Da questi bastardi, i sedicenti Giovani di Rutshuru. Sono entrati gridando, gridando che ce ne dobbiamo andare dal territorio. Distruggendo tutto quello che recava il nostro logo. Facendo paura ai pazienti, agli infermieri - che erano lì a fare il loro lavoro nonostante noi abbiamo sospeso tutti i pagamenti e non hanno ancora ricevuto lo stipendio di Marzo. Facendo paura, ripetendo quelle parole. Ci bruceranno i veicoli, faranno colare il sangue. Vivi, lunedì non ricomincia nulla. Nulla.
Ero in piedi sul balcone, col telefono in mano, mentre fuori era tutto buio. Ero l’ultima a lasciare l’ufficio, quella sera. Piangevo di rabbia, e di impotenza.
sabato 10 aprile 2010
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Vattene, prendi il primo aeeo. Costoro non meritano alcun aiuto. Capiranno solo quando per loro sarà rovina.
RispondiEliminaGiorgio L.
Non è per loro che lavoriamo... la situazione è molto complessa. Ma grazie infinite per la vicinanza.
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