venerdì 30 aprile 2010
Swahili
Il ventilatore, l’odore di salsedine, le mosche. Siamo sui tropici, al nord del Kenya, a pochi chilometri dalla Somalia. Siamo in Africa, e allo stesso tempo non siamo in Africa. Gli abitanti hanno la pelle scura, parlano inglese con un accento africano, e ogni tanto si intravedono dei masai, nei mercati, sulla spiaggia. Eppure siamo già in Medio Oriente. Le case sono bianche e hanno i tetti piatti, i muezzin chiamano alla preghiera cinque volte al giorno dalle trenta moschee sparse sull’isola, e le donne camminano coperte di un velo nero che le copre fino ai piedi. Gli uomini indossano lunghe tuniche bianche, sandali piatti e un caratteristico cappello di stoffa, cilindrico e basso, chiamato kofia.
Travaux communautaires
Il Rwanda è un mondo a parte rispetto al Congo Orientale. I Congolesi sono anarchici e sanguigni. I Rwandesi invece sono disciplinati. Non sono un popolo individualista, non si battono per la supremazia, sono facilmente irreggimentati. In tutto, nei genocidi come nelle dittature. Almeno così vuole lo stereotipo.
What democracy means
Qualche giorno fa, ho trascorso una serata a Kigali. Kigali è bella, ordinata, piena di fiori. Circondata da mille colline divise in appezzamenti di terra regolari, morbide curve verdi chiaro coperte di piantagioni di the. Tutto è pulito, non si vede una carta per terra. Passando in macchina mi ripeto che dietro questa scintillante facciata c’è la dittatura di Kagame. Una dittatura vera. “Sarà, ma se dovessi scegliere tra rinascere nell’anarchia del Congo Orientale o nel Rwanda fascista, sceglierei il Rwanda, senza ombra di dubbio”, dico tra me e me dopo aver intravisto l’ennesima aiuola fiorita.
venerdì 23 aprile 2010
Un po’ di storia V: La Guerra Mondiale Africana (1998-2003)
La Guerra Mondiale Africana è stata terribile. L’organizzazione per cui lavoro ha condotto uno studio di enormi proporzioni, con lo scopo di stabilire quante siano state le vittime di questo conflitto sanguinario che ha dilaniato l’Africa centrale, nel silenzio di una stampa e di una diplomazia poco interessate. Il risultato dello studio è stato scioccante. 5,4 milioni di morti, dovuti al conflitto o a cause dirette del conflitto (carestie ed epidemie). Insomma, la seconda guerra più mortifera di tutti i tempi dopo la Seconda Guerra Mondiale. Eppure è già tanto se la gente in Europa sa dove si trovi, il Congo.
giovedì 22 aprile 2010
Second thought
Oggi mi voglio ricredere su quello che ho scritto tempo fa, riguardo alla percepta ingiustizia sul divario salariale tra gli espatriati e i lavoratori locali. In realta’, ha senso. Non perche’ il nostro lavoro sia di qualita’ o valore proporzionalmente differente, ma perche’ se offrissimo ai locali stipendi troppo alti rispetto all’economia del posto, distruggeremmo completamente il mercato locale. Gia’ siamo stati sufficientemente indelicati rispetto agli equilibri economici del luogo, distribuendo soldi e beni di consumo a destra e a manca, senza chiderci cosa ne sarebbe stato dei piccoli imprenditori locali. Gia’ paghiamo molto i nostri dipendenti congolesi, tanto che appena uno si mette a lavorare in una ONG tutta la famiglia e gli amici lo braccano per chiedergli aiuto e supporto. Cosa succederebbe se dessimo ancora di piu’ ? Cosa succedera’ quando ce ne andremo, lasciandoci alle spalle lo scheletro di un’economia ormai completamente parrassitaria ?
Dovremmo fare piu’ attenzione anche quando lanciamo programmi « pay for work », ossia I programmi che offrono impiego per aumentare il potere di acquisto dei beneficiari. Come mi spiegava la mia saggia amica F, bisogna assolutamente evitare di pagare troppo i propri lavoratori. Se sul mercato una giornata di lavoro agricolo viene pagata 4 dollari, noi ONG non dobbiamo offrirne 5. L’idea che pagando di piu’ aiutiamo di piu’, o che ci sembra una miseria pagare 4 dollari un’intera giornata di lavoro nei campi, e’ superficiale e sviante. Perche’ quando ne offriamo 5, immediatamente la gente che ha gia’ un lavoro lo lascia per il nostro. Che e’ temporaneo. Perche’ cosi’ facendo fomentiamo meccanismi di lotta all’interno delle comunita’ locali, tra chi si deve aggiudicare il nostro lavoro ben pagato. Perche’ alla fine chi ne beneficiera’ saranno i piu’ connessi e i piu’ potenti, non i piu’ vulnerabili. Invece dovremmo offirne 3,5, per attrarre i disoccupati, o coloro che non sono nella condizione di scegliere. Coloro che hanno piu’ bisogno.
La superficialita’ si paga cara, in questo mestiere. Anzi, la pagano cara gli altri.
martedì 20 aprile 2010
Tre dettagli
Due. Ora sono in ufficio e ho appena visto passare il solito topo. Anche qui, nulla di tenebroso. E' un topolino grazioso. Ma comunque. A volte la mattina si trovano i suoi escrementi sul tavolo.
Tre. Normalmente il pomeriggio non c'e' l'acqua in ufficio, quindi la mattina bisogna riempire la vasca da bagno e poi per il resto della giornata si tira l'acqua prendendola col secchio. Non e' un problema. Da' solo un po' fastidio lavarsi le mani con l'acqua stagnante.
lunedì 19 aprile 2010
Scritta altrove
Sono giorni e giorni che ci chiediamo quali siano i motivi profondi della vicenda di Rutshuru. A ben pensarci, perché qualcuno dovrebbe avere interesse a cacciarci? Noi siamo umanitari, siamo neutrali. Perché siamo visti come nemici?
domenica 18 aprile 2010
Apologia della sfrenatezza
Anche ieri sera sono finita a una festa. Era una festa un po’ segreta, non c’era tutto l’ambaradan della comunità umanitaria che si vede di solito. Solo le persone che stanno qui da più tempo, che sono meglio connesse. Per il resto erano locali ricchi, alcuni bianchi, altri mulatti. Businessmen. Anche la casa non era la solita residenza da organizzazione di espatriati. Era una villa lussuosa, con giardino, un'enorme piscina riscaldata. Un dj permanente, superalcolici, video musicali proiettati sul muro. Ci siamo divertiti un sacco. Abbiamo riso, abbiamo ballato. Verso le due di notte mi sono trovata in acqua, tutta vestita.
sabato 17 aprile 2010
Lucky girl
Sono fortunata. Oh, se sono fortunata. Non solo perché ho un lavoro che adoro, sono in un posto interessantissimo, i miei colleghi sono meravigliosi, la gente che incontro in città è mediamente più emozionante e stimolante del novantanove percento delle persone che incontrerei a Milano. Non solo perché vivo al caldo, su una bella casa sul lago e passo tutte le pause pranzo su una veranda sull’acqua dalla bellezza mozzafiato. Ma anche perché – concedetemela, un po’ di leggerezza - anche stamattina il giardiniere ha raccolto fiori freschi che ha lasciato in un vaso sul tavolo, e abbiamo un cuoco che cucina per noi, e guardie per proteggerci, e autisti che ci portano ovunque vogliamo, e qualcuno che lava e che stira al nostro posto. Non mi sembra vero, di essere trattata come una principessa.
mercoledì 14 aprile 2010
Dream Team
La vicenda di Rutshuru mi ha insegnato moltissimo. In moltissimi sensi. Dopo una settimana dalla notizia degli attacchi, mi sento immensamente cresciuta. Io e una manciata di altre persone ci siamo trovati di fronte alla crisi, e l’abbiamo affrontata. E il fatto che il capo era in vacanza e molti senior staff erano fuori Goma ha aumentato esponenzialmente la responsabilità che mi sono trovata tra le mani. La responsabilità di dover agire in fretta.
Diamanti
Qualche tempo fa sono andata a una festa. Una classica festa di expats, in una ONG irlandese. Prato, musica, roba da bere. Musica in random playlist, io che ballavo. Si avvicina uno, mi parla. E’ italiano. Mezzo italiano, in realtà, ma parla la mia lingua. Sempre bello trovare compatrioti, chiacchieriamo un po’, sopra quel rumore. Di-dove-sei-chi-conosci-qui-da-quanto-sei-arrivato. Le solite cose, mi sta pure simpatico. Ha l’aria gentile. Poi però mi dice quello. Quello che fa. E mi muore subito il sorriso.
Commerciare in diamanti in Congo significa finanziare la guerriglia. Significa finanziare lo sfruttamento di migliaia di persone che vengono messe a scavare, a estrarre pietre preziose. Finanziare i gruppi armati che controllano le miniere, che tassano ogni pietra che ne esce. Finanziare i loro padroni, che li rivendono sul mercato internazionale a chi finge di non sapere. Tanto i diamanti poi vengono mandati in Uganda, e esportati da lì. Per miracolo in Uganda c’è stata una crescita esponenziale di esportazione di diamanti, manco si potessero coltivare.
Io provo a non dire niente, a non commentare. Tanto a che serve? Ma non ci riesco. “Ah allora finanzi la guerriglia”, gli dico, secca. Lui sorride, impacciato. “Perché lo sai che i soldi li usano per comprarsi armi, vero?”. Lui ride stavolta, non se lo aspetta. “Ma no, io compro da quelli onesti…”, inventa. E allora mi pento, sono stata fuori luogo. Stavolta sono io che sorrido, cerco di metterla sul ridere. “Guarda non voglio sapere”. Faccio lo scimmietta che si copre le orecchie. “Faccio finta di non aver sentito, continuiamo la festa”. Provo a fargli un sorriso sincero, al mio nuovo amico italiano. Ma fallisco. Non voglio più ballare con questo idiota, non voglio più doverlo guardare in faccia.
Per favore, prima di comprare diamanti, informatevi bene.
http://conflictminerals.org/us-canadian-companies-involved-in-congo/
lunedì 12 aprile 2010
Videoclip
Domenica mi sono trovata catapultata in un video musicale. Con quella luce bianca che sembra fatta di riflettori, e il lago dietro così azzurro, così artificiale. In una mega villa sul lago, con giardino all’inglese, mobili di design, lusso scintillante. Schermi piatti, vetrate con vista, bar al centro del soggiorno con gli sgabelli attorno. La musica del Buddha Bar, di sottofondo, altissima, che faceva pulsare tutto. Come in un video ambientato in California.
Gente che va, gente che viene, ognuno che porta da bere. Ragazze nere vestite in bianco, piene di gioielli d’oro. I ragazzi con l’aria da gangster, che fumano piano, che hanno i muscoli. Che si muovono a ritmo con tutto il resto.
La piscina, le macchine, il cuoco che cuoce il pesce. Lo champagne che scorre a fiumi, apriamo un’altra bottiglia. Facciamo un tuffo nel lago. Facciamo un giro sulla moto d’acqua, voglio vedere tutta la costa. Voglio possedere tutta Goma, oggi, fino al confine col Rwanda. Voglio schizzare sull’acqua e vedere le ville sul lago, salutare la gente con la mano.
E poi tornare nella casa assolata, con la musica, con la dolcezza sfrenata della vita dei ricchi. Che chissà come sono diventati così ricchi. Che ridono e dicono che Goma è così, è la capitale della bella vita.
Tornare coi jeans tutti bagnati, strizzati intorno alle gambe. Sentire il corpo che si muove in quegli spazi così lucidi, così geometrici. Nel groove patinato e sensuale. Nel sole che inonda tutto. Nell’ondeggiare lascivo della domenca. Nel ritmo cosmico del pomeriggio.
Giovedì, venerdì, sabato
Sono gonfia di pensieri, ronzanti, vibranti, esigenti la mia attenzione. Frammenti degli ultimi tre giorni bombardano incessantemente lo schermo della mia mente. Decine di immagini e di parole in disordine che hanno bisogno di essere raccolte, soppesate, ripercorse. Capite, interpretate, custodite. Pigne di emozioni usate da lavare e stirare, perché non si sciupino. Cocci di vita da allineare sugli scaffali della memoria - fragili e preziosi come petali seccati, ali di farfalla, pagliuzze d’oro. Tra i tre giorni più intensi della mia vita, probabilmente.
domenica 11 aprile 2010
sabato 10 aprile 2010
racconto/rotto di una notte intera/spezzata
Powerless
Era l’ultima telefonata della giornata, ero contenta. Ero raggiante, per la precisione. Avevo appena concluso un meeting importante, sola con un donatore, ero andata e avevo portato a casa belle notizie. Era stato eccitante, andare dal donatore da sola, il mio capo da Kinshasa mi aveva chiesto se me la sentivo, io avevo detto di sì, mi ero preparata tutta la mattina. Dovevo parlargli della sospensione dei programmi a Rutshuru a causa delle minacce ricevute a partire dal 12 marzo. Dovevo raccontargli per filo e per segno quello che avevamo fatto, gli incontri con le autorità locali, le pseudo-evacuazioni, le riunioni. Dovevo dirgli che eravamo pronti a partire, di nuovo, lunedì. Che la capo squadra era appena tornata a Rutshuru per fare un assessment e poi tutti gli altri sarebbero tornati a lavorare, a far funzionare i diciassette centri di salute senza i quali la gente muore di parto, senza i quali i bambini non vengono vaccinati. E il donatore era stato comprensivo, era stato gentile, avevamo simpatizzato, porca miseria. Ha detto che sta con noi, che dobbiamo scusarli per la lentezza, la firma sta arrivando. Ero contenta quando sono uscita. Raggiante, per la precisione.
E poi arriva la doccia fredda. No Vivi, no. Non sono serviti a nulla, gli incontri. A nulla, le lettere di autorizzazione delle autorità locali. Non valgono niente le promesse di protezione che ci dà l’esercito. Uno dei nostri centri è stato attaccato, due volte, ieri sera e stamattina. Da questi bastardi, i sedicenti Giovani di Rutshuru. Sono entrati gridando, gridando che ce ne dobbiamo andare dal territorio. Distruggendo tutto quello che recava il nostro logo. Facendo paura ai pazienti, agli infermieri - che erano lì a fare il loro lavoro nonostante noi abbiamo sospeso tutti i pagamenti e non hanno ancora ricevuto lo stipendio di Marzo. Facendo paura, ripetendo quelle parole. Ci bruceranno i veicoli, faranno colare il sangue. Vivi, lunedì non ricomincia nulla. Nulla.
Ero in piedi sul balcone, col telefono in mano, mentre fuori era tutto buio. Ero l’ultima a lasciare l’ufficio, quella sera. Piangevo di rabbia, e di impotenza.
martedì 6 aprile 2010
Un po' di storia IV: 1997-1998
La fine del genocidio in Rwanda ha anche fatto cadere la dittatura di Mobutu in Congo. Due piccioni con una fava. Quando gli Hutu Rwandesi sono stati tolti di mezzo e i Tutsi di Kagame si sono instaurati al governo, la prima cosa che hanno pensato di fare è stata di fargliela pagare, a Mr. Mobutu. Per aver accolto i genocidaire in fuga nel suo paese senza battere ciglio - né consegnarli alla giustizia. E quindi i Rwandesi hanno dato una mano al Congolese Kabila, che voleva guidare un’insurrezione. Un Tusti Congolese. L’insurrezione è andata piuttosto bene. Inizialmente toccava solo il Congo Orientale, poi si è estesa fino ad arrivare a Kinshasa. E così, grazie ai Rwandesi, Mobutu è stato cacciato ed al suo posto è salito al potere Kabila, nel 1996.
domenica 4 aprile 2010
Pasqua
sabato 3 aprile 2010
Un po' di storia III: 1994-1996
Il Congo è un paese immenso, peno di giungla, di fiumi, di tribù sconosciute. Secondo la Rough Guide, l’esplorazione di questo paese è forse l’unica vera avventura rimasta da compiere al mondo.