venerdì 30 luglio 2010

Thanks for flying UN

Ieri ho preso un volo ONU. Nei paesi in cui esiste una consistente missione di peace keepig, l'ONU organizza dei voli regulari gratuiti per l'uso del suo personale. Il che e' normale, se si pensa che le compagnie aeree congolesi sono da farsi il segno della croce prima, durante e dopo il volo; e che attraversare il Congo via terra da Goma a Kinshasa puo' realisticamente prendere un mese, senza contare il pericolo di morte a piu' riprese lungo il cammino.

Con la magnanimita' che contaddistingue le Nazioni Unite, questi voli aprono le loro porte anche a civili o membri di organizzazioni internazionali, che secondo un preciso sistema di priorita' possono usufruire dei posti non occupati da militari e personale UN. Per avere accesso a questi voli gratuiti, basta fare domanda, comunicare il motivo del viaggio, produrre tutta una serie di supporti cartacei, e presentarsi in aeroporto all'ora che ti dicono loro, all'ultimo secondo. Ieri mattina ero li' alle 6:30, con la mia amica H e il mio fedele zaino, sperando di infiltrarmi. L'idea di farsi un weekend gratis a Kinshasa era troppo irresistibile per non tentare.

Nell'aeroporto ONU si vede tutta la solita folla buffa dell'umanitario. Un gruppo di soldati del contingente indiano, tutto composti. E un gruppo del contingente uruguaiano, che si comportano come ragazzini in gita. Ci sono membri di varie organizzazioni come la nostra e personale civile ONU assortito. Incontro anche il mio amico vulcanologo, un professore universitario Italiano che studia il Nyragongo e prende regolarmente l'elicottero per fare giri un di perlustrazione. Questa volta si porta dietro tre ragazzoni scarmigliati che si rivelano nientemeno che fotografi del National Geographic, intenti a fare un foto-documentario sul vulcano per la gioia dei lettori.

L'attesa e' lunga, non esistono orari ne' tragitti prestabiliti. Gira una battuta, a questo riguardo. In paesi come il Sudan, l'ONU si avvale di voli WFP. Che sta per World Food Program, naturalmente. O per i maligni, "Wait For Plane".

Alla fine ci imbarcano, miracolosamente. E cosi' inizia il viaggio. Facciamo il giro del Congo. Prima da Goma a Kindu, in Maniema, in un'oretta. Poi da Kindu a Kisangani, in Province Orientale, con un'altra ora abbondante di volo. Poi altre due ore e mezza per arrivare a Kinshasa. Non mi ero ancora resa conto di quanto fosse grande questo paese. Ad ogni decollo e ogni atterraggio vediamo il fiume Congo, il piu' lungo dell'Africa dopo il Nilo, che diventa sempre piu' vorticoso e marrone, gorgogliante nel mezzo della foresta tropicale.

Sugli aerei servono acqua purificata ONU, la stessa che mi davano all'ospedale MONUC quando avevo la febbre tifoide. I piloti sono russi, come in tutto il Congo, nessuno sa il perche'. E l'hostess e' Canadese, lo dice in continuazione. "Questo e' un volo con staff canadese". Forse si tratta di una specie di scambio culturale tra assistenti di volo, o fa parte di un gruppo di hostess senza frontiere.

lunedì 26 luglio 2010

Mulini a vento

E' buffo pensare che io mi sono avvicinata a questo settore dopo essermi laureata in filosofia. Non scienze politiche, economia o legge. Io qualche anno fa mi studiavo i tomi di Scolastica e pensiero transcendentale; Tommaso d'Aquino e la Critica della Ragion Pura.

Eppure un filo conduttore esiste. Studiando filosofia, ci si abitua ad affrontare problemi molto piu' grandi di noi. Per cui non si intravede soluzione. Per cui la soluzione e' forse inaccessibile alla mente umana, e quasi non vale la pena di pensarci su. Ma comunque ci si prova, ingenuamente e ostinatamente, e piano piano si raffina il metodo del pensiero per arrivare a conclusioni sempre meno sfuocate, sempre meno grossolane, sempre piu' consapevoli.

Il lavoro umanitario si confronta con lo stesso abisso. Problemi insolubili, giganteschi, talmente sfaccettati e introcati e inaccessibili che quasi non vale la pena di affrontarli. Che toccano cultura, interessi economici, storia, identita'. Religioni, etnie, risorse minerarie. Valori occidentali, valori universali, il sistema internazionale e la sovranita' degli stati. Gli interessi dei donatori, delle agenzie, dei beneficiari. Le priorita' e le sensibilita' di mezzo mondo. E nonostante sia una battaglia persa, ci si lavora su lo stesso, cercando una soluzione che non arriva mai. Ingenuamente e ostinatamente.

sabato 24 luglio 2010

Luna e vetro

Mi sento cristallizzata, in questi giorni. Lavoro, esco, rido, mi arrabbio. Ma è come se non fossi qui. Come se tra me e il mondo ci fosse un vetro, come se io fossi prigioniera nella mia testa. Picchio contro questa superficie liscia e trasparente, sperando che qualcuno del mondo di fuori mi senta e venga a liberarmi.

Ieri sera noi quattro abbiamo spento tutte le luci e ci siamo sdraiati in terrazza, sotto l'albero di avocado, in riva al lago nero. Abbiamo guardato la luna stesi fianco a fianco su un tappeto di paglia comprato al mercato di Kigali. La luna aveva un alone intorno, e noi dicevamo che sembrava una ciambella di cui la luna era il buco. Passavano le nuvole e noi ne individuavamo le forme, ridendo come bambini. Mettevamo tutte le canzoni che contenevano la parola "luna", e poi via via tutte le altre musiche che riuscivamo a trovate a carattere meteorologico. Era buffo, era intimo. Tirava un vento freddo, lacustre. Ci siamo rintanati in cucina, dove abbiamo una preparato zuppa finto cinese e bevuto the alla menta. Eravamo i principi di Goma, ieri sera. I più cool della città, chiusi nel nostro castello di cristallo.

Forse sono malinconica perchè H mi ricorda da morire Amanda, e B mi ricorda Giò, alcuni dei miei più cari amici del mondo vero. O forse perchè ho un nuovo gattino, che mi ricorda Gatta e Shah e la mia vita di Trinidad che non riesco a lasciarmi alle spalle. Mi sento in una dimensione parallela, non so più cosa è presente e cosa è ricordo. Non resta che guardare la luna, sempre la stessa e sempre diversa, in questo specchio di vita che è Goma.

venerdì 23 luglio 2010

In bocca al lupo

In questi giorni pieni di malinconia, ho ricevuto una bella email. Cosi' bella che la voglio riportare qui, parola per parola. E' un'email che racconta l'affetto che si e' instaurato fra me e A, il mio assistante, in questi mesi di lavoro insieme. E soprattutto e' un'email che racconta di un successo: la storia di un semplice ragazzo Congolese con una famiglia povera e tanti fratellini da mantenere, che riesce realizza il suo sogno di andare a studiare in America. Questa e' l'email che mi ha scritto, di getto, ieri pomeriggio. Dopo che l'Ambasciata Americana di Kigali gli ha concesso un visto per il paese delle meraviglie.


Hello Dear V.
I just came from the interview at the Embassy. I left there with a very positive feeling: I have got the visa!!!!!!
I have been at the US Embassy in Kigali today, they told me I could go at the bank and come back. I went and brought the receit. I waited a bit, presented my application, filled some supplemental forms, got the interviews which ended with a "there is still some investigations to be done, but go to window #1 and pay the $150 that Congolese have to pay..." then I paid those fees that Congolese only pay if they are granted a visa. The lady asked me to come back tomorrow at twelve to pick my passport (let me add... With the visa). Yay!
God is good all the time! He will never change. May you be blessed and filled with heavenly grace for all your ongoing and earnest prayers.
Hope to see you soon,
A

mercoledì 21 luglio 2010

Morbid beauty

Qui e' cosi'. Tutto sembra bello, bellissimo, idilliaco. Il lago, i falchi, i pesci volanti. Colline e cascate, elefanti e gorilla. Gli alberi fioriti, l'estate tutto l'anno. Quando ho attraversato per la prima volta il Rwanda non potevo credere che un terribile genocidio si fosse abbattuto nel mezzo di quel paradiso.

Ancora oggi ho questa sensazione, quando faccio il bagno nel lago Kivu. Acqua pulita, calmissima, di un grigio scuro profondo, intenso e pacificante. Eppure, quanto orrori sono accaduti su queste sponde? Quanti morti sono stati gettati sul fondo di questo lago, che inghiotte tutto e dimentica?

Tempo fa, una coppia di amici italiani che vivono in una bella casetta sul lago hanno trovato un cadavere a riva, a pochi metri del loro giardino. Anche il mio amico E ne ha visti due o tre, nell'ultimo paio d'anni. Trovati cosi', per caso, come fossero conchiglie.

I miei amici, profondamente colpiti da questa macabra visione, hanno immediatamente chiamato la polizia per far rimuovere il corpo. Gli agenti hanno chiesto una mazzetta per svolgere il lavoro.

domenica 18 luglio 2010

Week-end

Una luna rossa riflessa nel lago.
Un vestito azzurro cucito sbagliato.

Due bimbe mulatte, elefanti di legno.
Un pranzo delizioso, un prato frondoso.
Voci italiane, sole sull'erba.
Due partite perdute.

Un libro e un amaca. Un gattino affamato.
Un nuovo amico che mi viene a trovare
e parlare con lui per ore nel sole.

Una pizza smezzata. Un abbraccio da dietro.
Una colazione in terrazza piena zeppa di vento.

Una festa smodata - di fumo di vino.
Un ragazzo afghano che balla
e mi guarda - negli occhi nel buio.

All'improvviso, un pianto che uccide.
Struggente nella notte crudele.

Un amico che mi dice che fare,
io che mi sbaglio lo stesso,
e un ubriaco che mi urla addosso
cio' che pensa dell'amore.

Addosso a me - delirante e sdraiata
su un'assurda poltrona nel mezzo di un prato -
che tengo la mano di un'altra persona
su un'altrettanto assurda poltrona,

alla deriva della festa disfatta
trafitti d'irreparabile tristezza.

giovedì 15 luglio 2010

Weekend a Kigali

Due settimane fa ho passato un fine settimana a Kigali. Kigali e' una citta' bicolore, rosso e verde. Il rosso e' per la terra, le strade, i muri, la polvere. Verde per le piante, l'erba, i cespugli. E questo patchwork bicromo si distende su piccole valli e colline, arioso, come un tessuto ondulato.

Kigali e' rilassante. Non c'e' bisogno di fare nulla di speciale per sentirsi rilassati. Tutto e' calmo, nessuno grida. Le strade sono asfaltate. Ci sono dei centri commerciali con dei bar. Dei locali carini dove stanno espatriati e locali, gomito a gomito. E gli espatriati sono adulti, con famiglie a carico, non ragazzetti selvaggi come noialtri di Goma. Andare in giro e' facile, basta saltare su una moto-taxi, mercanteggiare un po' il prezzo, e farsi portare a destinazione col sole in faccia e il vento tra i capelli senza paura che possa succedere nulla. Kigali e' talmente tranquilla che puo' essere soporifera, ma per me e' stata perfetta. E se si sta con la gente giusta ci si diverte sempre, noi abbiamo fatto le 5 di mattina per due sere di seguito.

Io non mi posso certo lamentare del mio stile di vita di Goma. Avendo un lavoro che mi porta raramente sul terreno, faccio una vita casa-ufficio abbastanza nella norma. E poi ho una casa con luce, acqua calda, televisione, acuqa minerale e terrazza sul lago. Due o tre bar e ristoranti dove uscire. Insomma non posso dire che sia una vita di per se' stressante, e ogni tanto mi sento in colpa al pensiero che mi concedano l'R&R, ossia una settimana di Rest and Relaxation ogni tre mesi, da passare fuori dal paese. Mi sembra ridondante, mica abito in un campo profughi in Chad.

Con un weekend a Kigali pero' ho cambiato idea. Vedendo la differenza tra una citta' "normale" e Goma mi sono accorta di quanto stress incameriamo stando qui. Piccole cose. Il fatto che siamo una comunita' microscopica di bianchi in un posto in cui l'interazione profonda coi locali e' difficilissima. Il fatto che non possiamo guidare, che le strade sono tutte una gimkana, che ci dobbiamo muovere su delle macchinone enormi e comunicare i movimenti via radio. Il fatto che vediamo armi tutto il tempo, soldati, caschi blu, ufficiali della polizia che passeggiano coi lanciarazzi. Carri armati per strada. Il filo spinato attorno a casa. Passare il metal detector per prendere una birra, non si sa mai che entri al bar con una pistola. Sono piccole cose, a cui ci si abitua subito. Ma e' bastato un giorno fuori per ricordarmi che l'R&R ha senso.

mercoledì 14 luglio 2010

... e offesa.

E ora la seconda parte di amarezza. L'altro giorno uno dei nostri donatori ha organizzato una visita in Sud Kivu per parlare dei nostri programmi, e oggi verranno qui da noi a Goma. Normalmente le visite dei donatori sono di cortesia, o di affari. Questa e' una visita di offesa. In Sud Kivu e' stato un disastro. Sono arrivati in tre, due tecnici e un giornalista, e hanno sfoderato un'arroganza senza pari. Hanno umiliato i miei colleghi, dicendo loro che non erano abbastanza senior per riceverli. Che la visita non ha avuto abbastanza gravitas. Che erano troppo giovani per il loro lavoro. Hanno minacciato di tagliarci i fondi. Una delle nostre migliori manager e' stata talmente toccata da queste offese che e' scoppiata a piangere. Ma che cosa si aspettano? Non lo sanno che siamo tutti giovani, qui? Che ci sono solo posizioni non accomagnate, nel Congo dell'Est? Che chi ha un'eta da marmocchi non viene a vivere in questa parte di mondo?

E inoltre questi cretini - si', ho scritto cretini - hanno detto che: a) loro sanno tutto del Congo e della violenza sulle donne, quindi hanno bisogno di un meeting tecnico e di altro livello; b) che col giornalista volevano intervistare una vittima di violenza sessuale. Non so nemmeno da che parte cominciare a commentare. Primo, chi si credono di essere. Secondo, anche l'ultimo arrivato in questo mestiere sa che la regola numero uno del lavoro con le vittime di violenza sessuale e' quella di mantenerne la confidenzialita', non esporle al pubblico, e non approcciarle senza uno psicologo. Figuriamoci con una macchina da presa. La direttrice del programma ha detto che la loro richiesta era voyeristica. Forse non il massimo della diplomazia, ma aveva una sacrosanta ragione.

Oggi verranno qui a Goma, e come ci si puo' immaginare c'e' una tensione che si taglia a fette. Il mio capo mi ha detto che io non potro' partecipare alla riunione come previsto, perche' ha ricevuto la direttiva di mantenere il meeting a piu' alto livello possibile, senza persone junior, senza grants, solo lui e la coordinatrice. Lui stesso ha paura di essere troppo junior, credo, visto che ha pochi anni piu' di me. E vada. Pero' non ci ho visto piu' quando mi ha detto che noi altri dovremo mangiare in soggiorno, mentre loro due staranno coi donatori in riva al lago per continuare il briefing durante il pranzo. Fatemi capire. Mi devo nascondere in casa mia? Devo mangiare in una sala separata? Ma dove abbiamo messo la nostra dignita'?

Glel'ho detto, che lo trovavo incredibilmente offensivo. Che se proprio si deve agire in questo modo, voglio che nel pacchetto di commenti che manderemo a NY sia citata anche la mia indignazione rispetto a questo dettaglio del pranzo. Dopo avermi parlato, lui ha mandato una mail a tutti spiegando che si tratta di una situazione delicata, che chiede la nostra collaborazione. Certamente collaboreremo, ma io non voglio strisciare davanti a nessuno.

Tradimento...

E' tanto che non scrivo, e oggi ricomincio con un post rabbioso. Sono stata silenziosa, ultimanente. Ho bisogno di un po' di sapzio mentale tutto per me, senza comunicazione. Ma oggi scrivo, e furiosamente.

Ieri e' stato il turno di A, il mio assistente a cui sono molto affezionata. Siamo usciti a pranzo insieme, come facciamo ogni 3 mesi per parlare un po' di lavoro fuori dall'ufficio. Per parlare di lui, di come si trova, di cosa gli piace e non gli piace e di come si potrebbe migliorare il suo lavoro di tutti i giorni. Di come potrebbe crescere. Ebbene eravamo a pranzo e vengo a sapere che mi lascia tra due settimane. Due settimane! E' stato accettato in un'universita' in America e i corsi cominciano il 10 agosto. Ma come, e non me lo hai detto? Aspettavo che mi arrivasse la conferma a casa. Ma e' sicuro, no? Si. Ma da quando lo sai? Da un po'. Mi sono sentita tradita. Soprattutto quando mi ha detto che da contratto lui deve dare solo una settimana di preavviso. Mi sono arrabbiata, quando mi ha citato il contratto. Questi discorsi sindacalisti fanno veramente venire la bile. Gli ho detto che ci sono rimasta male. Che non si collabora cosi'. Che mi lascia senza nessuno, senza preavviso. Che non e' tanto un problema di lavoro, e' un problema di fiducia. Lui si e' rattristato. Ha detto che aveva paura di perdere il lavoro. Io ho detto che era una gran fesseria, come poteva perdere il lavoro dicendomi che si stava candidando per l'universita' in agosto?

Forse l'ho presa troppo sul personale. Qui la cultura e' cosi', non ci sono questi protocolli. Ognuno difende accanitamente quel poco che ha. Questo comportamento qui non e' da considerare offensivo. E' giovane, probabilmente e' quello che gli hanno consigliato di fare. Penso che abbia capito il mio punto di vista, pero'. Il mio risentimento. Ieri sera mi ha inviato un messaggino dicendo che gli dispiaceva. Mi ha fatto piacere, sono certa che era sincero. Penso che in un certo qual modo questa storia sia stata una fonte di apprendimento per entrambi. Io per capire lui, e il Congo. Lui per capire me, e l'America.