Sono mesi che non scrivo, e non e’ facile spiegare il perche’. La cosa piu’ semplice da dire e’ che dopo sei mesi di adrenalina e’ arrivato l’inevitabile esaurimento. Ho avuto un’indigestione emotiva, a Goma. Non e’ successo nulla di traumatico per se, e’ stata semplicemente una questione di intensita’. Vivere mi consumava gia’ troppo per avere l’energia di scrivere quello che vivevo. Era un’inutile dupliazione. Un’esposizione di me che mi lasciava troppo vulnerabile. Cercare le parole e’ un po’ come eseguire un’operazione chirurgica : e’ complicato, scava in profondita, e lascia una visibile cicatrice. Ma puo’ anche salvare la vita, ed e’ per questo che ritorno. Perche’ senza la bussola delle parole mi perderei in questo luogo senza punti di riferimento.
E allora ricomincio, mi metto alla tastiera e mi domando. Come mi sento, adesso?
Devo essere sincera. Direi che mi sento ridicola, rileggendo cio’ che ho appena scritto. Per essermi espressa in modo cosi’ grave. In fondo sono una privilegiata, ho una vita comoda. Come posso lamentarmi, io che me sto a Goma, mentre tanti miei colleghi umanitari se ne stanno in veri buchi, a Masisi, a Walicale, con una stanza sola per casa e ufficio e senza acqua corrente? Con problemi di sicurezza veri, a cui hanno sparato addosso? E mi basta mettere il naso fuori casa per rendermi conto ogni giorno di quanto sia fortunata, quanto viva nella bambagia. Ma poi decido di essere un po’ piu’ indulgente con me stessa, un po’ piu’ comprensiva. Sentirmi provata e’ un mio diritto, non me ne devo vergognare. E mi sforzo di tenere a mente che proprio l’altro giorno stavo viaggiando, prendevo aerei in citta’ civilizzatissime come Nairobi e Dar Es Salaam. Chiacchieravo con miei vicini di fila al check in, coi compagni di seggiolino. Gente che lavora a Pretoria, che fa viaggi di lavoro a Kampala. Che conosce l’Africa, per i quali l’Africa e’ un posto normale, dove si fanno affari, dove si viaggia con la ventiquattr’ore. E quando mi chiedevano dove andassi, e io rispondevo Congo, loro inevitabilemente sbattevano le palpebre, alzavano il sopracciglio, e dicevano : « Congo-Braza, I suppose… », riferendosi all’altro Congo, il piccolo paese costiero e stabile che ha per capitale Brazzaville. E io rispondevo : « No no. Congo-Kinshasa ». Al che seguiva un’altra breve pausa e poi, annuendo gravemente, commentavano. « Accidenti ».
lunedì 22 novembre 2010
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