martedì 1 marzo 2011

Naufragio

Eravamo in terrazza, M, A e io, a berci una birra dopo il lavoro. Parlavamo di film, pensa te. Di cinema europeo. Le grida sono cominciate all'improvviso, emanate dall'oscurita' del lago. Non ci abbiamo fatto caso, inizialmente. Potevano essere bambini che giocavano in acqua, o pescatori che litigavano. Poi pero' sono continuate, sempre piu' forti. Grida strane. Grida strazianti, disperate e gutturali. Ci alziamo, scrutiamo nel buio. Non si vede nulla, il lago e' tutto nero. Ma la voce arriva, penetrante, agonizzante. Finalmente il pensiero prende forma. Oddio c'e' qualcuno che affoga.

Corriamo dalle guardie, accendete tutte le luci. Andiamo vicino all'acqua, cerchiamo di capire. Che fare, che fare, che fare? Sono io la padrona di casa, sono io che dovrei reagire, trovare una torcia, trovare qualcosa. Ma sono paralizzata, non riesco a muovermi, non so da che parte voltarmi. M grida - prendiamo il kayak. Io non capisco ma corro, corriamo tutti, loro al kayak, io in soggiorno. Per cercare le chiavi che aprono il cancello di filo spinato che da' accesso al lago. Ma le chiavi non ci sono, nulla e' mai al suo posto quando lo si cerca, e qualcuno sta morendo a pochi metri da me e non so che cosa fare. M e A non aspettano, buttano il kayak nel lago e A supera il filo spinato rischiando di lacerarsi. Quando arrivo lui e' gia' in acqua, rema per andarlo a prendere.

Nel frattempo le guardie si avvicinano, parlano fitto in swaihili. Portano un uomo, accompagnato da un cameriere dell'hotel a fianco. Un uomo vestito di stracci, un altro naufrago che e' riuscito a raggiungere la riva e entrare nell'albergo e ora e' venuto da noi per recuperare il suo amico. A e' al largo, si avvicina alle grida. Io ho paura per lui e per il naufrago e mi sento impotente e confusa. Lo raggiunge, finalmente, lui si aggrappa. A urla, prendete una coperta. Certo, una coperta, come ho fatto a non pensarci. Io e M scattiamo, ansiose di fare, e prendiamo qualcosa per scaldarlo.

Proprio in quel momento H arriva dal suo viaggio. Stamattina si e' svegliata nella pacifica Lamu e non ha neanche tempo di uscire dalla macchina per ripiombare nell'orrore frenetico di Goma. Anche B esce dalla sua stanza, svegliato dal rumore. Vede la barca avvicinarsi, recupera le chiavi del cancello, lo apre. La barca approda, finalmente il naufrago sale.

Si capisce subito che c'e' qualcosa di strano. Le guardie ci dicono di stare lontani - e' completamente nudo. Non si sa perche', non ha addosso nemmeno uno straccio. E trema. Sembra che stia per morire assiderato, o di paura. Lo coprono, lo fanno sedere, si siede anche il suo amico. Sono esausti, traumatizzati, non parlano una parola di francese. Le guardie li interrogano. Siamo pescatori, bisbigliano, siamo stati attaccati dai pirati. Uno di loro ha un taglio sulla testa, puo' essere stato un machete. A gli sta di fianco, cerca di scaldarlo sfregandogli la schiena. Sembra essere l'unico in grado di fare qualcosa in quella situazione assurda e terribile. L'unico che agisce, reagisce, interagisce. Noi guardiamo.

E' difficile trovare un senso in quelle emozioni contraddittorie. Vuoi salvare e hai paura di salvare. C'e' un uomo che sta per morire ma che potrebbe essere anche un bandito. Si impara ad aver paura di tutti, qui, anche delle vittime. L'importante e' proteggere se' stessi.

A dice di preparare del the caldo. Ancora una volta, mi domando come possa non essermi venuto in mente. Mi chiedo perche' ci abbia pensato lui e non io. Mi sento inutile, maldestra. Penso che se fosse stato per me sarebbe morto. Penso che due naufraghi nudi stavano per morire a trenta metri da dove io bevevo una birra parlando di cinema europeo. Penso ai miei amici che l'anno scorso hanno trovato un cadavere nel lago. I naufraghi dicono che c'era un terzo compagno, che e' affogato. B decide che domani non mangeremo vicino al lago, il morto potrebbe emergere. Penso che nel the ci vuole tanto zucchero, almeno a questo ci arrivo da sola. Penso che il mio cervello ricomincia piano piano a funzionare.

B ha gia' chiamato la macchina. Non possiamo mandarli all'ospedale con i nostri veicoli, non sappiamo chi siano questi tizi e la loro storia puzza di bruciato. Non possiamo prendere parti in risse locali. B e' il capo anche perche' pensa a queste cose nel momento del pericolo. Protegge la sua squadra.

La macchina finalmente arriva, i due vengono caricati sul sedile di dietro. Noi restiamo in casa, storditi, svuotati. M e A hanno ancora l'adrenalina a mille. Io mi sento come se riemergessi da un sogno. Sento gratitudine, sento ammirazione. Sento colpa, sento vergogna. Sento paura. Sento fame. Anche gli altri sentono fame. Fame fame fame. Siamo andati in cucina e abbiamo addentato quello che c'era sulla tavola. 

2 commenti:

  1. che storia angosciante! Comunque si sono salvati grazie al vostro intervento. Anche io sarei stata paralizzata di fronte a questa situazione : di notte, sul lago, a Goma ...
    Chissà chi erano veramente ? Non lo sapremo mai.

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  2. Não deves sentir culpa por não ter agido. Ninguém se deve culpar por não saber como reagir da primeira vez que algo lhes acontece. À segunda oportunidade, se houver uma segunda, vais ver que será diferente.

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