martedì 24 maggio 2011

Pugno

Quando uno fa questo lavoro, non e’ ci stia a pensare tutto il tempo, a quello che sta facendo. Soprattutto se uno se ne sta prevalentemente seduto alla scrivania, a interagire con donatori che a loro volta se ne stanno seduti alla scrivania. Tu a Goma, loro a Washington. Tu con le zanzare, loro con l'aria condizionata.

Uno mica ci sta a pensare, che le “2,700 survivors of gender based violence” assistite in media ogni anno col nostro programma sono donne in carne ed ossa. Che in genere hanno subito uno stupro.

E poi se pure uno ci pensa, non e' che ci soffre. Non empatizza. Figuriamoci se dovessimo empatizare ogni volta. Mi ricordo quando facevo il mio stage a Ginevra tre anni fa, nell'unita' di violenze sessuali, e mi leggevo i rapporti sullo stupro come arma di guerra in Darfur. Ci stavo cosi' male che mi mettevo a piangere leggendo, di fianco allo scatolotto bianco dell'aria condizionata. Ora no, e' routine. Sono solo numeri, e' il mio lavoro.

Eppure ogni tanto, ma proprio ogni tanto, magari una volta ogni tre o quattro mesi, uno legge una frase formulata in modo un po' diverso. Basta un dettaglio. Magari una frase letta con meno fretta, o una frase trascritta. Una frase a caso fra le mille, che inspiegabilmente colpisce come un pugno in faccia. E uno non ce la fa a continuare. Uno ci prova ad andare avanti a lavorare, c'e' la deadline a fine giornata e poi bisogna uscire a prendere una birra alle sette. Pero' e' impossibile, bisogna fermarsi, minimo trenta secondi di immobilita', di respiro difficoltoso. Di nausea e voglia di vomitare.
Mi e' successo oggi, quando ho letto che il Congo "e' definito il peggiore posto al mondo per essere donna". Una frase stupida da hit parade. Che avevo gia' letto un sacco di volte. Una frase che normalmente mi irrita, perfino. Populista. Sensazionalista. Non tecnica. Definito da chi? In base a che cosa?

Pero' oggi per qualche motivo questa frase mi ha fatto venire in mente una cosa. Una cosa che ho visto domenica, quando andavo a fare un pic-nic sul lago con le mie amiche. Una cosa normalissima. Una donna che camminava accanto a suo marito in una strada di campagna, e che trasportava sulla schiena due casse di birra, piegata in avanti come un mulo.

Una visione quotidiana, assolutamente banale. Le donne portano sempre dei pesi allucinanti, qui. Intere fascine di legno sul gobbo. Forse questa volta l'ho notata perche' io non ho mai provato a trasportare una fascina di legno, ma so quanto pesano due casse di birra. Quando l'ho vista ho pensato che era una cosa terribile, come sempre. Ma non mi sono veramente dispiaciuta per lei. Il mio filtro emotivo e' troppo spesso per tirare in ballo il dispiacere per cosi' poco.

Pero' oggi, quando ho letto quella frasetta retorica, la signora mi e' venuta in mente con una potenza incredibile. Un immagine nitida che reclamava, esigeva la mia attenzione. E mi ha dato pugno in faccia.

martedì 15 marzo 2011

Vaccini

Come intuibile, prima di mettere piede in Congo e' necessario sorbirsi una buona dose di vaccini. Non tanto - o non solo - per sopravvivere alla pletora di malattie tropicali di brulicano in questo ridente angolo di mondo. Ma anche - o soprattutto - per evitare discussioni con le autorita' doganali, le quali non aspettano altro che un documento mancante per osteggiare lo sprovveduto viaggiatore.

Ad esempio, se ci si presenta alla frontiera Congolese senza un valido certificato del vaccino contro la febbre gialla, si rischia di essere obbligati a farselo iniettare direttamente nell'aeroporto di Kinshasa. Il che equivale circa a farsi un giro di roulette russa. Un'altra ipotesi, forse piu' frequente, e' che il personale dell'aeroporto proponga di "vaccinare" l'ingenuo viaggiatore in cambio di una lauta mancia. In questi casi, il vaccino consiste in un bel timbro sul passaporto. Non proteggera' dalla malattia, ma apre le porte del paese.

Ogni tanto queste non-regole possono anche tornare utili. Qualche mese fa un mio amico ha programmato un week-end in Sudafrica, rendendosi conto solo alla vigilia del viaggio che il suo vaccino era scaduto. Si sa che in Sudafrica non scherzano: senza certificato non si entra. Allora il mio amico - che ha abitato in Congo abbastanza tempo per sapere come comportarsi - si e’ recato all'ufficio migrazioni, dove un segretario gli ha prontamente «somministrato » non solo con il vaccino contro la febbre gialla, ma anche quello contro la meningite e il tifo. Il tutto al modico prezzo di una coca-cola.

Random weirdness

Inutile ripeterlo, qui non c'e' nulla, ma proprio nulla di noramle. Per una dimostrazione, leggete il messaggio che ho ricevuto stamattina in ufficio proveniente dal nostro responsabile IT (traduizone sotto):

Par ce message, nous vous informons qu’il y aura de courtes perturbations de la connexion internet sur notre réseau dans la période du 19 au 25 mars 2011. Cela est dû aux éclipses solaires qui ont des incidences sur le satellite où nous sommes connectés.

Con questo messaggio, vi informiamo che ci saranno delle brevi perturbazioni della connessione internet sulla nostra rete tra il 19 e il 25 marzo 2011. Cio' e' dovuto alle eclissi solari che influenzano il saltellite a cui siamo connessi.




martedì 8 marzo 2011

Doga

Come se non bastasse, non si puo’ neanche piu’ andare al Doga. Uno de cinque locali da espatriati di Goma, sulla via principale, proprio di fianco all’ufficio. Perfetto per la birretta delle sette.

Basta, finito. Non solo perche’ dopo la MONUSCO l'ha vietato a trutto il personale ONU a causa dell’enorme quantita’ di prostitute che lo frequentano. Ma soprattutto perche’ il padrone ha ben deciso di tappezarlo di bandiere rosse di un partito politico poco identificabile. E per gli umanitari non e' mai una grande idea mostrare di simpatizzare per un partito, specie in periodo di elezioni.

Quello che non sapevo, e che ho scoperto ieri chiacchierando con un'amica in political affairs, e’ che quel partito non e’ altro che CNDP. Che il padrone di Doga e’ un uomo CNDP amico di Bosco. E che tre settimane fa CNDP e Kabila hanno stipulato un accordo nuovo di zecca. Grazie al quale le recenti minacce di Kabila di spostare i contingenti di ex-CNDP in altre zone del Congo sono svanite nel nulla. CNDP rimarra’ stabile in Masisi, a fare i suoi interessi come sempre fatto.

Secondo la mia amica, il motivo di questo nuovo avvicinamento e’ che, in periodo di elezioni, Kabila deve evitare a tutti i costi che tutta l’opposizione faccia fronte unico contro di lui. Le elezioni saranno a turno unico, chi prende la maggiornaza vince tutto. E cosi’, quando i suoi avversari principali hanno cominciato a mostrarsi troppo collaborativi, lui ha ben pensato di assicurarsi la fedelta’ di CNDP con un nuovo accordo.

Mentre la ascoltavo, mi e’ venuto in mente che il Doga ha appena aperto un locale anche a Kinshasa. Stesso nome, stesso brand. Sara’ una coincidenza, o forse no.

domenica 6 marzo 2011

Shot stories

Queste sono tutte storie vere raccontatemi da amici e colleghi. Sono tutte avvenute negli ultimi dieci giorni tra Gyseni, Bukavu e Kinshasa.

J : « Dicono che il Rwanda sia piu’ moderno e sviluppato del Congo, e invece non e’ vero. E’ terribile. Settimana scorsa qualcuno e’ entrato di notte nel nostro appartamento di Gyseni. Non hanno rubato nulla, ma hanno frugato dappertutto. Aperto cassetti, scompigliato vestiti, rotto giocattoli. E poi se ne sono andati. Strano, vero ? L’unica spiegazione che ci siamo dati e’ che fossero delle guardie che cercavano armi. Il Presidente Kagame era alloggiato nei paraggi, forse aveva paura di un attentato.»

C : « No, non voglio andare alla festa alla base uruguayana fuori Bukavu. Sara’ pure bella, ma dopo quello che e’ successo lo scorso fine settimana non me la sento proprio. Lo sai, vero ? Hanno sparato a una macchina UN sulla strada per la base. C’erano dentro dei miei amici, tre militari e una civile. Non credo fosse un attacco politico, sara’ stato il solito soldato ubriaco. Ma la pallottola ha colpito la macchina in pieno.»

C : « Si’ che c’ero. D’altra parte, dove si poteva andare il venerdi’ sera se non al Chez Victoria ? Era il locale piu’ carino di Bukavu, prima che chiudesse. E’ stato piuttosto brutto. Quando sono cominciati gli spari un mio amico mi ha buttata a terra. Tutti giu!, si gridava. E cosi’ mi sono trovata sotto a un tavolo mentre le due fazioni si sparavano a vicenda, tra il bancone e la pista da ballo. Non mi era mai successo di trovarmi in mezzo a una sparatoria. Stranamente, non sono stata colta dal panico. Sono rimasta semplicemente accucciata sul pavimento finche’ non i colpi non sono cessati. Poi piano piano siamo tutti usciti per tornarcene a casa. Paradossalmente, e’ stata quella la parte piu’ spaventosa della serata. Arrivare la macchina senza sapere se ci fosse ancora gente armata in strada ; con la paura che la sparatoria potesse riprendere da un momento all’altro. »

J : « Al Chez Victoria, venerdi’ scorso ? No, non c’ero. Ma so cosa e’ successo perche’ il proprietario e’ un mio amico. Suo cugino e’ uno stupido teppistello diciannovenne. Un tipico mulatto ricco e arrogante. Ha cominciato una rissa, e ha chiamato amici della polizia a difenderlo. Il suo avversario aveva amici nell’esercito, e li ha chiamati a sua volta. Hanno cominciato subito a sparare, e tutti i clienti si sono trovati sul pavimento. »

A : « Stavo andando in piscina al Grand Hotel, come tutte le domeniche a Kinshasa. Ricordi? Avevo invitato anche te settimana scorsa, quando eri in citta’. Camminavo fischiettando con l’asciugamano sulla spalla. Poi ho incontrato per strada un’amico svedese, che mi ha detto Non ci andare: stanno sparando. Non ho capito niente ma me sono tornato a casa di corsa. E dopo un’ora, il paese non parlava d’altro. Un attentato al presidente Kabila. Una sessantina di uomini armati di mitra e machete hanno attaccato il Grand Hotel, dove stava di passaggio. Qualcuno ha parlato di colpo di stato, qualcuno di messinscena imbastita dal governo. Sono morte dieci persone. E io ci stavo andando in piscina. »

martedì 1 marzo 2011

Naufragio

Eravamo in terrazza, M, A e io, a berci una birra dopo il lavoro. Parlavamo di film, pensa te. Di cinema europeo. Le grida sono cominciate all'improvviso, emanate dall'oscurita' del lago. Non ci abbiamo fatto caso, inizialmente. Potevano essere bambini che giocavano in acqua, o pescatori che litigavano. Poi pero' sono continuate, sempre piu' forti. Grida strane. Grida strazianti, disperate e gutturali. Ci alziamo, scrutiamo nel buio. Non si vede nulla, il lago e' tutto nero. Ma la voce arriva, penetrante, agonizzante. Finalmente il pensiero prende forma. Oddio c'e' qualcuno che affoga.

Corriamo dalle guardie, accendete tutte le luci. Andiamo vicino all'acqua, cerchiamo di capire. Che fare, che fare, che fare? Sono io la padrona di casa, sono io che dovrei reagire, trovare una torcia, trovare qualcosa. Ma sono paralizzata, non riesco a muovermi, non so da che parte voltarmi. M grida - prendiamo il kayak. Io non capisco ma corro, corriamo tutti, loro al kayak, io in soggiorno. Per cercare le chiavi che aprono il cancello di filo spinato che da' accesso al lago. Ma le chiavi non ci sono, nulla e' mai al suo posto quando lo si cerca, e qualcuno sta morendo a pochi metri da me e non so che cosa fare. M e A non aspettano, buttano il kayak nel lago e A supera il filo spinato rischiando di lacerarsi. Quando arrivo lui e' gia' in acqua, rema per andarlo a prendere.

Nel frattempo le guardie si avvicinano, parlano fitto in swaihili. Portano un uomo, accompagnato da un cameriere dell'hotel a fianco. Un uomo vestito di stracci, un altro naufrago che e' riuscito a raggiungere la riva e entrare nell'albergo e ora e' venuto da noi per recuperare il suo amico. A e' al largo, si avvicina alle grida. Io ho paura per lui e per il naufrago e mi sento impotente e confusa. Lo raggiunge, finalmente, lui si aggrappa. A urla, prendete una coperta. Certo, una coperta, come ho fatto a non pensarci. Io e M scattiamo, ansiose di fare, e prendiamo qualcosa per scaldarlo.

Proprio in quel momento H arriva dal suo viaggio. Stamattina si e' svegliata nella pacifica Lamu e non ha neanche tempo di uscire dalla macchina per ripiombare nell'orrore frenetico di Goma. Anche B esce dalla sua stanza, svegliato dal rumore. Vede la barca avvicinarsi, recupera le chiavi del cancello, lo apre. La barca approda, finalmente il naufrago sale.

Si capisce subito che c'e' qualcosa di strano. Le guardie ci dicono di stare lontani - e' completamente nudo. Non si sa perche', non ha addosso nemmeno uno straccio. E trema. Sembra che stia per morire assiderato, o di paura. Lo coprono, lo fanno sedere, si siede anche il suo amico. Sono esausti, traumatizzati, non parlano una parola di francese. Le guardie li interrogano. Siamo pescatori, bisbigliano, siamo stati attaccati dai pirati. Uno di loro ha un taglio sulla testa, puo' essere stato un machete. A gli sta di fianco, cerca di scaldarlo sfregandogli la schiena. Sembra essere l'unico in grado di fare qualcosa in quella situazione assurda e terribile. L'unico che agisce, reagisce, interagisce. Noi guardiamo.

E' difficile trovare un senso in quelle emozioni contraddittorie. Vuoi salvare e hai paura di salvare. C'e' un uomo che sta per morire ma che potrebbe essere anche un bandito. Si impara ad aver paura di tutti, qui, anche delle vittime. L'importante e' proteggere se' stessi.

A dice di preparare del the caldo. Ancora una volta, mi domando come possa non essermi venuto in mente. Mi chiedo perche' ci abbia pensato lui e non io. Mi sento inutile, maldestra. Penso che se fosse stato per me sarebbe morto. Penso che due naufraghi nudi stavano per morire a trenta metri da dove io bevevo una birra parlando di cinema europeo. Penso ai miei amici che l'anno scorso hanno trovato un cadavere nel lago. I naufraghi dicono che c'era un terzo compagno, che e' affogato. B decide che domani non mangeremo vicino al lago, il morto potrebbe emergere. Penso che nel the ci vuole tanto zucchero, almeno a questo ci arrivo da sola. Penso che il mio cervello ricomincia piano piano a funzionare.

B ha gia' chiamato la macchina. Non possiamo mandarli all'ospedale con i nostri veicoli, non sappiamo chi siano questi tizi e la loro storia puzza di bruciato. Non possiamo prendere parti in risse locali. B e' il capo anche perche' pensa a queste cose nel momento del pericolo. Protegge la sua squadra.

La macchina finalmente arriva, i due vengono caricati sul sedile di dietro. Noi restiamo in casa, storditi, svuotati. M e A hanno ancora l'adrenalina a mille. Io mi sento come se riemergessi da un sogno. Sento gratitudine, sento ammirazione. Sento colpa, sento vergogna. Sento paura. Sento fame. Anche gli altri sentono fame. Fame fame fame. Siamo andati in cucina e abbiamo addentato quello che c'era sulla tavola. 

lunedì 28 febbraio 2011

Distributore di benzina

Sulla strada per Rutshuru la benzina si compra in bottiglia. A dei banchetti di legno fatti cosi'. Con o senza capretta.