giovedì 4 marzo 2010

Riflessioni sulla cooperazione

“La gente in North Kivu non è povera”, mi dice S. “Nessuno muore di fame, qui. Di gente che muore di fame ne ho vista, altrove. In Etiopia, in Somalia. Non qui, dove la terra è fertile, dove ci sono risorse minerarie”. S. lavora in una delle più prestigiose organizzazioni umanitarie del mondo, e prima di essere venuta in Congo ha lavorato in altri cinque o sei paesi africani. Non le piace più, Goma. Dice che siamo in troppi, che son tutti qui a fare beneficienza, che il popolo oramai è abituato ad essere assistito. Che basta passeggiare lungo il lago per essere fermati da decine di persone che chiedono soldi. Se hai in mano una bottiglietta d’acqua, chiedono acqua. Se hai in mano del cibo, cibo. Chiedono sconsideratamente, perché sono abituati a ricevere tutto dai bianchi ricchi. Per loro sei questo, un dollaro ambulante. “Per loro non sei una persona”, conclude laconica. Parole dure, che fanno male a chi ascolta.

L’amore-odio fra Congolesi ed internazionali è un fenomeno complesso, un rapporto malato. Ieri sera, durante il mio briefing introduttivo con il capo missione, sono stata avvertita. “Uno degli aspetti più difficili del lavoro in questo paese è il rapporto con i locali. Continuiamo a licenziare personale locale, perché tantissimi rubano. Una volta un intero camion di non-food-items è stato dirottato, tutto il suo contenuto venduto. Un nostro uomo si è messo d’accordo con dei banditi”. Era triste, mentre me lo diceva. Triste come la mia collega che sta per partire, che l’altra sera dichiarava di sentirsi completamente tradita dei suoi collaboratori. Persone con cui ha cercato di creare dei legami, di lavorare bene, e poi ha scoperto che le rubavano i soldi dal budget.

“L’organizzazione non può tollerare questi comportamenti, dobbiamo licenziare in tronco i colpevoli”, dichiarava, asciutto. Poi però ha aggiunto “Ma io, come essere umano, mi chiedo. E se fossi nato qui? Se avessi dei figli a carico e un lavoro precario? Se tutta la famiglia allargata si appoggiasse a me solo perché ho trovato un lavoro con degli internazionali? Se fossi abituato all’idea che bisogna approfittare di tutte le occasioni per mettere da parte dei soldi? Magari anche io avrei corso il rischio, avrei venduto della merce dell’organizzazione per guadagnarci qualcosa. Magari anche io avrei tradito questi bianchi che tanto fra pochi mesi se ne torneranno ai loro paesi”.

2 commenti:

  1. http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=93551&sez=LADENUNCIADELGIORNO
    Ho letto quest articolo e ho pensato che tutto il mondo è paese.
    Giorgio Lanzani

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  2. grazie per l'articolo! che coincidenza, abbiamo toccato proprio lo stesso tema...

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